Читать онлайн книгу "Un’esca per Zero"

Un’esca per Zero
Jack Mars


Ein Agent Null Spionage-Thriller #8
“Non andrai a dormire finché non avrai finito di leggere i libri dell'AGENTE ZERO. I personaggi, magistralmente sviluppati e molto divertenti, sono il punto di forza di questo lavoro superbo. La descrizione delle scene d'azione ci trasporta nella loro realtà; sembrerà di essere seduti in un cinema 3D dotato dei migliori simulatori di realtà virtuale (sarebbe un incredibile film di Hollywood). Non vedo l'ora che venga pubblicato il seguito”.. –Roberto Mattos, Books and Movie Reviews. UN’ESCA PER ZERO è il libro? 8 della prima serie di best seller AGENTE ZERO, che inizia con AGENTE ZERO (Libro 1), in download gratuito e oltre 200 recensioni a cinque stelle. . Un nuovo cannone a rotaia ad alta tecnologia capace di sparare un missile micidiale, sette volte più veloce del suono, mette a rischio il destino dell’America. Chi è o qual è il suo obiettivo? E chi c’è dietro il suo lancio?. In una folle lotta contro il tempo, l’Agente Zero deve usare tutta la sua abilità per scoprire la fonte di quest’arma imbattibile e riuscire a scoprire verso dove è puntata prima che sia troppo tardi. Allo stesso tempo Zero viene a conoscenza di un nuovo scioccante sviluppo riguardo alla propria condizione mentale, una situazione che potrebbe metterlo fuori gioco per sempre. Riuscirà a salvare il mondo e a salvare sé stesso?. UN’ESCA PER ZERO (Libro 8) è un coinvolgente thriller di spionaggio che vi terrà svegli fino a tarda notte. “Il meglio del genere Thriller”. –Midwest Book Review (su A ogni costo). “Uno dei migliori thriller letti quest’anno”. –Books and Movie Reviews (su A ogni costo). E’ disponibile anche la serie di best seller di Jack Mars LUKE STONE (7 libri), che inizia con A ogni costo (Libro 1), un libro a download gratuito con oltre 800 recensioni a 5 stelle!





Jack Mars

UN'ESCA PER ZERO




UN'ESCA PER ZERO




(UNO SPY THRILLER DELLA SERIE AGENTE ZERO – LIBRO 8)




JACK MARS



Jack Mars

Jack Mars è l’autore bestseller di USA Today della serie di thriller LUKE STONE, che include sette libri. È anche autore della nuova serie prequel LE ORIGINI DI LUKE STONE, che al momento comprende tre libri, e della serie thriller AGENTE ZERO, che al momento include sette libri.



Jack ГЁ felice di ricevere i vostri commenti, quindi non esitate a visitare www.jackmarsauthor.com (http://www.jackmarsauthor.com/) per unirvi alla sua email list, ricevere un libro gratis e altri premi, o connettetevi su Facebook e Twitter per rimanere in contatto!



Copyright © 2020 di Jack Mars. Tutti i diritti riservati. Salvo quanto consentito dalla legge sul copyright degli Stati Uniti del 1976, nessuna parte della presente pubblicazione può essere riprodotta, distribuita o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, o archiviata in un database o sistema di recupero, senza la previa autorizzazione dell'autore. Questo e-book è concesso in licenza al solo scopo d'intrattenimento personale. Questo e-book non può essere rivenduto o ceduto ad altri. Se vuoi condividere questo libro con qualcun altro, t'invito ad acquistarne una copia per ogni destinatario. Se stai leggendo questo libro senza averlo acquistato o non è stato acquistato per il tuo utilizzo personale, sei pregato di restituirlo e di acquistarne una copia per tuo uso esclusivo. Grazie per il rispetto dimostrato del lavoro dell'autore. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, attività commerciali, organizzazioni, luoghi, eventi e incidenti sono il prodotto dell'immaginazione dell'autore o vengono utilizzati in modo fittizio. Qualsiasi riferimento a fatti realmente accaduti o persone, vive o morte, è puramente casuale. Immagine di copertina Copyright Ohyperblaster, utilizzata con il permesso di Shutterstock.com.



I LIBRI DI JACK MARS




SERIE THRILLER DI LUKE STONE

A OGNI COSTO (Libro 1)

IL GIURAMENTO (Libro 2)

SALA OPERATIVA (Libro 3)

CONTRO OGNI NEMICO (Libro 4)

OPERAZIONE PRESIDENTE (Libro 5)

IL NOSTRO SACRO ONORE (Libro 6)

REGNO DIVISO (Libro 7)


SERIE PREQUEL CREAZIONE DI LUKE STONE

OBIETTIVO PRIMARIO (Libro 1)

COMANDO PRIMARIO (Libro 2)

MINACCIA PRIMARIA (Libro 3)


SERIE DI SPIONAGGIO DI AGENTE ZERO

AGENTE ZERO (Libro 1)

OBIETTIVO ZERO (Libro 2)

LA CACCIA DI ZERO (Libro 3)

UNA TRAPPOLA PER ZERO (Libro 4)

DOSSIER ZERO (Libro 5)

IL RITORNO DI ZERO (Libro 6)

ASSASSINO ZERO (Libro 7)

UN'ESCA PER ZERO (Libro 8)


UN RACCONTO DELLA SERIE AGENTE ZERO



Agente Zero – Riepilogo libro 7

Dopo essere stato costretto a tornare in servizio presso l'agenzia, l'agente della CIA Kent Steele viene incaricato di inseguire una misteriosa arma ad ultrasuoni nelle mani di un gruppo di terroristi di cui non si conoscono i piani. Il gruppo possiede una macchina tanto silenziosa quanto mortale, quasi impossibile da individuare. Tuttavia Zero ГЁ afflitto da nuovi ricordi che gli riportano alla mente vecchi segreti. BenchГ© tormentato dal suo oscuro passato, la prioritГ  dell'Agente Zero ГЁ quella di mettere in sicurezza milioni di persone, anche se potrebbe essere troppo tardi per salvare sГ© stesso.



L’Agente Zero: durante l'inseguimento del gruppo di ribelli responsabile degli attacchi ad ultrasuoni negli Stati Uniti, i ricordi di un passato oscuro riemergono nella mente dell'Agente Zero facendo riaffiorare il ricordo di omicidi compiuti all'inizio della sua carriera presso la CIA. Non potendo dire con certezza se avesse compiuto davvero questi omicidi, Zero chiede aiuto al neurologo svizzero, il Dottor Guyer, che gli presenta una triste diagnosi: il cervello di Zero mostra un evidente deterioramento, e nonostante non sia chiaro con che velocità possa procedere, la convinzione del medico è che prima o poi questo decadimento cerebrale lo porterà alla morte. Zero tiene segreta la notizia e decide di continuare a vivere la sua vita appieno, con le sue figlie e nel rapporto riacceso con Maria.



Maria Johansson: dopo aver sfidato gli ordini sia della CIA che del Presidente, Maria si è dimessa dalla carica di vicedirettore ed è tornata a svolgere l’attività di agente speciale. Zero l'ha messa al corrente dei suoi recenti problemi di memoria così come del suo passato di possibile assassino.



Maya Lawson: dopo un tentativo di aggressione da parte di tre ragazzi in uno spogliatoio di West Point, Maya lascia l'accademia militare, non prima di apprendere che sua sorella minore Sara ГЁ scomparsa dall'istituto di riabilitazione nel quale era stata accolta. Maya la salva, nelle vicinanze di una spiaggia, pochi attimi prima del tentativo di un rapimento, e la riporta a casa. Maya combatte per entrare a patti con il buio interiore che si ГЁ impadronito di lei e si chiede se il percorso che si ГЁ scelta sia davvero il migliore per lei.



Sara Lawson: ancora alle prese con la tossicodipendenza, Sara viene portata in un istituto di riabilitazione a Virginia Beach. Una notte la ragazza riesce a fuggire mandando all'aria ogni cautela e ormai in preda alla propria dipendenza. Dopo uno straziante incidente che la stava portando vicina a un rapimento, Sara viene salvata da Maya e Alan Reidigger e riportata a casa.



Mischa: l'unica sopravvissuta del gruppo di ribelli responsabile degli attacchi ad ultrasuoni, Mischa, ГЁ una ragazza russa di dodici anni che ГЁ stata indottrinata fin da piccola e addestrata per diventare una spia e un'assassina. Zero e Maria la fanno arrestare e la consegnano alla CIA.



Il Presidente Jonathan Rutledge: l'ex Presidente della camera ГЁ entrato nello Studio Ovale come Presidente degli Stati Uniti dopo l'impeachment dei suoi predecessori. Sul punto di dimettersi, viene convinto dalla perseveranza di Zero a non abbandonare la carica e a offrire tutto l'aiuto possibile.




PROLOGO


Quella nave era una vera e propria opera d'arte.

Era lunga sedici metri da prua a poppa e poteva accogliere con agio quattordici persone, ciГІ nonostante bastavano solamente tre persone per guidarla. Era dotata di un doppio motore a calibrazione complessiva di potenza pari a millequattrocento cavalli ed era in grado di viaggiare a una velocitГ  massima di duecentoquaranta chilometri orari. La tecnologia con cui era stata progettata la rendeva praticamente invisibile a radar, sonar, infrarossi e a quasi tutte le forme di rilevamento elettromagnetico. Il suo scafo era completamente avvolto da un rivestimento riflettente in modo tale che, se la si guardava da vicino, era in grado di riprodurre i movimenti dell'acqua circostante. Ma da una distanza di circa trecento metri o piГ№, appariva poco piГ№ che una macchia sfocata e poteva essere scambiata facilmente per un effetto del calore, un riflesso dell'oceano o un'illusione ottica.

Per questo motivo era stata soprannominata Banjjag-Im o Glimmer, che non è altro che la traduzione in inglese del suo nome coreano, dato che l’inglese era la lingua nella quale il variegato equipaggio comunicava a bordo.

Nonostante la tecnologia avanzata che poteva vantare, la Glimmer era comunque una semplice nave, non solo in senso marittimo, ma anche per il fatto che non era altro che un contenitore che celava e consentiva il trasporto di un tesoro ben piГ№ grande. CiГІ che la Glimmer nascondeva al suo interno, tra le nervature curve dello scafo, sotto un portello automatizzato di alluminio e montata su un ascensore idraulico, quello era il vero capolavoro, la grande opera creata dalle stesse persone che la custodivano segretamente.

Park Eun-ho si considerava incredibilmente fortunato ad essere uno tra queste. All'etГ  di ventinove anni, era il piГ№ giovane dell'equipaggio, ma il suo lavoro teorico sulla balistica del plasma era stato indispensabile per lo sviluppo del progetto e, da quel giorno, quella teoria sarebbe stata messa in pratica. Il pensiero lo faceva tremare dallo stupore, sebbene facesse del suo meglio per nasconderlo e mantenere la fredda solennitГ  dei suoi colleghi. Doveva ammettere tra sГ© e sГ© che il suo interesse per il campo era stato inizialmente stimolato dai videogiochi. Aveva sostenuto per anni l'influenza della fantascienza sui piГ№ importanti traguardi della tecnologia moderna: i telefoni cellulari, i touch screen, la realtГ  virtuale, l'intelligenza artificiale, persino le bevande energetiche, prima di diventare realtГ , erano oggetti che facevano parte di sogni apparentemente irrealizzabili.

Era stato raccomandato dal suo mentore, il dottor Lee dell'Università di Seoul, e per i primi mesi Eun-ho non aveva quasi idea di cosa di quale fosse l’obbiettivo del suo lavoro: gli era stato dato semplicemente il valore del carico e poteva immaginare, per la natura stessa della sua ricerca, che si trattasse di un'arma. Alla fine il suo progetto dovette essere messo in atto e furono convocati i vari ingegneri che compongono i vertici top-secret.

In seguito Eun-ho avrebbe scoperto che solo due uomini erano stati messi al corrente dei dettagli fin dall'inizio: un generale del Ministero della Difesa Nazionale e un politico di alto rango vicino al Presidente della Corea del Sud. Eun-ho non aveva incontrato nessuno di questi uomini; non erano nemmeno tra i dodici uomini dell’equipaggio, di cui Eun-ho faceva parte, che si trovava a bordo della Glimmer durante il suo primo viaggio.

Una piccola parte di lui rimpiangeva il non aver potuto godere di tale privilegio.

Quasi tre ore prima erano partiti dalla costa sud-occidentale, in un orario che alcuni avrebbero definito tarda sera, altri primissima mattina. FinchГ© si trovava nel porto, la Glimmer era stata custodita in un canale sotterraneo su un tratto di spiaggia rocciosa circondato da segnali di pericolo che avvertivano i viaggiatori che l'area era disseminata di mine inesplose dalla guerra (il che, ovviamente, non era vero). Durante la notte, i dodici erano saliti a bordo di quell'incredibile nave e l'avevano sapientemente pilotata nel cuore dell'Oceano Pacifico del Nord, mantenendo una velocitГ  ridotta per i primi ottanta chilometri. La Glimmer era davvero impossibile da rilevare, ma non erano disposti a correre il rischio di destare sospetto alla sorveglianza satellitare degli Stati Uniti o delle spie dei loro vicini a nord, il paese che ancora si faceva chiamare Choson.

Eun-ho aveva anche un altro lieve rimpianto e non si trattava dell'ora o delle circostanze della partenza, ma piuttosto del periodo dell'anno; all'inizio di febbraio le temperature erano piuttosto basse, e trovarsi in mezzo all'oceano non aiutava. Il vento scivolava sullo scafo aerodinamico della nave e si abbatteva su di lui. Qualche spruzzo occasionale dell'acqua gelida dell'oceano gli faceva dolere le guance. I motori interni erano incredibilmente silenziosi, poco piГ№ che una vibrazione sotto i suoi piedi, sebbene il silenzio potesse essere parzialmente dovuto al cappuccio del suo parka lanuginoso, tirato su sopra la testa e avvolto strettamente intorno al suo viso.

E sebbene i motori fossero per lo piГ№ silenziosi, l'intero equipaggio era rimasto serio e in silenzio, come se l'escursione richiedesse una sorta di riverenza. Tra loro c'erano ricercatori, esperti, dottori di varie scienze che Eun-ho non riusciva nemmeno a immaginare e in merito a cui non era autorizzato a fare domande. I membri dell'equipaggio non erano nemmeno a conoscenza dell'identitГ  degli altri; Eun-ho era conosciuto dai suoi undici compagni solo come "Park", la cui pronuncia anglicizzata lo faceva rabbrividire ogni volta. Nella sua lingua madre, il suo nome si pronunciava "Bahk".

Tuttavia, non si era mai preso la briga di correggerli.

Alla sua sinistra, sulla panca imbottita vicino alla poppa della Glimmer c'era un uomo a lui noto come Sun, un collega ricercatore coreano che Eun-ho avrebbe facilmente scambiato per un falegname o un altro tipo di artigiano per via delle sue mani dalle nocche callose. Alla sua destra c'era un europeo con una mascella quadrata ben rasata e capelli biondi perfettamente pettinati e così pregni di gel che nemmeno il vento gelido riusciva a spettinarli. Era difficile immaginare l'età dell'europeo, ma poteva aggirarsi tra i trenta e i quarant'anni. Parlava molto raramente e sempre a voce bassa. Eun-ho avrebbe detto che fosse olandese.

Ma la cosa piГ№ notevole dell'aspetto europeo era la pistola angolare che gli pendeva al fianco, nera opaca e stretta in una fondina di nylon dello stesso colore. Nonostante fosse seduto quasi letteralmente su una delle armi piГ№ potenti e rivoluzionarie del mondo, la vista della pistola addosso a quell'uomo era in qualche modo ancora piГ№ inquietante.

"Scusi," chiese Eun-ho cercando di sovrastare il ruggito del vento. Il suo inglese era eccellente; lo studiava da quando aveva sette anni. "A cosa serve?"

L'europeo lo guardГІ senza far trapelare emozioni. "Sicurezza".

Ah. Allora non era olandese. Nel parlare a voce alta, come era necessario per via del vento, stressava particolarmente le consonanti e a Eun-ho parve di riconoscere un accento tedesco.

Tuttavia, la risposta non era stata particolarmente soddisfacente. Che bisogno avevano di sicurezza in quel luogo, a quasi cinquecento chilometri a sud-est del Giappone? Nessuno sapeva che erano qui. Nessuno li stava cercando. La Glimmer era quasi invisibile.

Forse, pensГІ Eun-ho, la pistola sarebbe servitanel caso in cui qualcuno tra noi cambiasse idea in merito alla spedizione. Si guardГІ attorno con noncuranza cercando di osservare le facce rosse e screpolate dei suoi colleghi. Qualcuno di loro avrebbe potuto cambiare idea dopo aver conosciuto il potere distruttivo dell'arma?

Quasi come in risposta, il lamento dei motori si arrestò e la nave rallentò. Eun-ho sentì un brivido, questa volta non dovuto all'acqua gelida o al vento pungente. Il sole stava sorgendo, trasformando in azzurro l'acqua scura e riempiendo il cielo di riflessi rosati.

"Signori". L'uomo che rispondeva al nome di Kim, solo Kim, in piedi vicino alla prua, si rivolse a tutti prima in coreano e poi in inglese, per coloro che non conoscevano la lingua. I suoi occhiali dalla montatura circolare e la stempiatura dei capelli lo rendevano particolarmente simile al classico stereotipo degli scienziati dei romanzi di fantascienza, quelli che costruivano. “Oggi è un giorno importante. È il culmine di due anni di duro lavoro collettivo. È un peccato che così poche persone possano essere presenti a questo evento. Ma state tranquilli, amici miei, il mondo ricorderà i vostri nomi".

"Sempre che questa diavoleria funzioni", borbottГІ Sun sottovoce.

Eun-ho trattenne a stento una risatina.

"Cominciamo", disse Kim. Fece un cenno a un altro, che si trovava davanti a un complicato pannello di controllo per tre persone proprio dietro il timone della Glimmer, separato dal resto della nave da uno spesso scudo che Eun-ho sapeva essere a prova di proiettile. L'uomo spinse una chiave in una fessura, la girò e inserì una combinazione di quattro cifre sulla tastiera.

Le porte di alluminio al centro della nave si sollevarono con un forte ronzio, aprendosi verso l'esterno come una coppia di porte Bilco. Il ronzio si fece ancora piГ№ forte quando venne attivato l'ascensore idraulico. In pochi istanti, l'arma si erse dalle viscere della Glimmer come una presenza angelica che si disvela. Era uno spettacolo bellissimo da vedere.

Perfino i più istruiti sulla questione avrebbero sostenuto che un’arma al plasma non poteva essere altro che una congettura teorica, ai limiti della fantascienza, eppure loro ne avevano costruita una. Due anni di lavoro, giorno e notte, relazioni interpersonali sacrificate, vite e carriere dimenticate, alcune delle menti più brillanti del mondo orientale e occidentale e un investimento di denaro a dir poco esagerato avevano permesso di arrivare alla costruzione di un'arma che fino a poco tempo prima si pensava non sarebbe mai esistita.

L'ascensore idraulico aveva portato l'arma tre metri piГ№ in alto rispetto allo scafo della Glimmer. Le due rotaie parallele, essenzialmente la "canna" dell'arma, erano lunghe sei metri e consistevano in una coppia di elettrodi ultra robusti lungo i quali un'armatura di particelle ionizzate simili a gas scivolava a una velocitГ  pari a sette volte la velocitГ  del suono. La distanza di tiro effettiva, secondo il modello, poteva andare dai duecentoquaranta ai trecentoventi chilometri.

Le parole di Sun echeggiarono nella testa di Eun-ho. Sempre che questa diavoleria funzioni. Ovviamente, tutte le componenti dell'arma erano importanti, ma gli piaceva pensare che il suo lavoro sull'arma fosse probabilmente il piГ№ importante; dopo tutto, se l'arma non fosse riuscita a sparare il suo proiettile al plasma, sarebbe stata completamente inutile.

Non era superstizioso, ma incrociГІ comunque le dita.

"Tieni", borbottГІ Sun mentre gli porgeva un paio di spessi binocoli neri.

Eun-ho li prese con un cenno del capo. “Dove?”

Sun indicò ed Eun-ho guardò in quella direzione. Riusciva a scorgere a malapena una forma vaga di fronte al sole che sorgeva. La chiatta per il trasporto di rifiuti era lunga settanta metri e proveniva da Seoul. Era priva di equipaggio, dotata esclusivamente di luci fioche per impedire che qualcuno vi si scontrasse nella notte. La chiatta era stata ancorata lì tre settimane prima, proprio in quel punto, con uno scopo ben preciso.

Si trovava a soli diciotto chilometri. Il test di oggi non era altro che un viaggio inaugurale, per così dire, non volta a testare il range massimo di azione, ma l'efficacia, la precisione, la potenza e, come Sun aveva argutamente sottolineato, che quella diavoleria funzionasse.

"Pronto?", chiese Kim.

L'arma venne azionata. Eun-ho sapeva che, negli otto secondi necessari affinchГ© l'arma si caricasse era necessario inserire le coordinate dell'obiettivo e, istantaneamente, l'arma avrebbe corretto la sua traiettoria.

“È pronta", rispose l'uomo alla cabina di comando.

Kim diede una rapida occhiata ai suoi colleghi. Quindi con un cenno secco della testa disse: "Fuoco".

Successe tutto così in fretta che Eun-ho non ebbe nemmeno il tempo di realizzare completamente quello che vide. In un istante, o anche meno, una scintilla blu di plasma percorse gli elettrodi dell'arma. Altrettanto velocemente, li abbandonò. Non ci fu alcun suono assordante, nessuno scoppio, nessun suono acuto risuonò nelle sue orecchie. Si sentì semplicemente uno strano rumore, come un tonfo, e si vide un luccichio di plasma blu. Poco più che una scintilla, un bagliore.

Un istante dopo, a diciotto chilometri di distanza, la chiatta esplose. Anche da quella distanza la potenza di quell'esplosione lo fece rabbrividire. Un momento prima la chiatta si vedeva all'orizzonte, con l'aiuto di un binocolo, e un istante successivo un'esplosione di fuoco fece volare pezzi della nave per varie centinaia di metri e illuminГІ le prime ore del mattino.

Pochi secondi dopo, ciГІ che rimaneva dell'obiettivo affondГІ nelle gelide acque dell'Oceano Pacifico del Nord.

In momenti come questo, molti grandi uomini avevano pronunciato una frase o una dichiarazione, preparata con lungimiranza nella speranza che le loro parole potessero essere riportate in futuro in un testo di storia, o citate su internet, o almeno notate dai presenti. Ma Eun-ho non aveva preparato alcuna dichiarazione e in quel momento riuscì a proferire una sola sillaba.

“Uh!".

La prova era andata straordinariamente bene. Quella diavoleria funzionava perfettamente. Dove poco prima c'era una chiatta, ora non c'era altro che acque schiumose. La forza distruttiva dell'arma era immensa, non si avvicinava nemmeno lontanamente a quella di un missile, ma superava di gran lunga quella di qualsiasi altra arma esplosiva. Era un'arma tattica, un'arma precisa; i suoi bersagli potevano essere piccoli, strategici e persino mobili. Poteva affondare navi, abbattere aerei o persino difendersi dai missili. La sua capacitГ  di correggere la rotta quasi istantaneamente e la velocitГ  del proiettile al plasma avrebbero vanificato qualsiasi tentativo di difesa. Il suo unico svantaggio erano gli otto secondi necessari per caricare prima di sparare, e anche quello era un tempo irrisorio in confronto a quello impiegato dai missili a lungo raggio, dai siluri o dai cannoni da battaglia. Le sue dimensioni relativamente ridotte rendevano semplice il trasporto e la sua tecnologia avanzata la rendeva praticamente invisibile a qualsiasi nemico, anche nelle immediate vicinanze.

Quell'arma al plasma avrebbe potuto rivoluzionare le guerre moderne. Ma non era quella l'intenzione con cui era stata costruita, almeno questo era stato detto a Eun-ho e ai suoi colleghi. Nonostante i molti miliardi investiti nella creazione dell'arma (la Corea del Sud era al decimo posto nella lista dei paesi con il budget militare piГ№ alto del mondo), ne avrebbero prodotte altre cinque e tutte insieme quelle armi avrebbe protetto non solo il confine tra loro e la Corea del Nord, ma avrebbero anche scongiurato gli attacchi di qualsiasi potenziale nemico o invasore. Il loro intento non era quello di diventare una potenza militare piГ№ forte o di distruggere chiunque non fosse un aggressore; volevano semplicemente proteggere e salvaguardare il loro popolo, niente piГ№.

E lui, Eun-ho Park, era tra i responsabili del benessere della sua gente. Aveva contribuito a rendere possibile un progetto del genere. Anche il vento pungente di febbraio sull'oceano non poteva smorzare l'immensa sensazione di orgoglio che pulsava sotto il suo parka…

“Dottor Kim!” l'uomo dietro la console urlò all'improvviso. "Una barca!"

Eun-ho si girГІ rapidamente e i suoi occhi si spalancarono quando vide che l'uomo non stava guardando il display radar della sua console, ma stava indicando oltre la prua. Una barca si stava avvicinando a loro, a non piГ№ di un chilometro e mezzo di distanza, e si faceva sempre piГ№ vicina.

Il test dell'arma li aveva distratti e avevano abbassato la guardia. Pensavano di essere al sicuro, in mezzo all'oceano.

"Ma che diavolo…?" Sbottò il dottor Kim. "Chi sono?"

Eun-ho si rese conto di avere ancora il binocolo di Sun tra le mani. Lo portò al viso e mise a fuoco. Non sapeva molto di barche, ma ciò che sapeva era sufficiente per poter capire che la nave in avvicinamento non era militare e non era certo nuova come la Glimmer. Lo scafo scheggiato e sbiadito suggeriva che questa barca avesse subito un po' di usura… e si potevano vedere fori di proiettile sui lati.

GuardГІ il ponte e per poco non si fece sfuggire un sussulto. Gli uomini a bordo indossavano vestiti pesanti per il freddo, ma riusciva comunque a scorgere la pelle scura: erano africani. Avevano delle pistole tra le mani.

Eun-ho non era un esperto di navi, ma conosceva bene le armi e riconobbe un'AK-47.

"Signore", disse timidamente a Kim. "Non so come spiegarlo, ma credo che siano… pirati".

"Dammi qua". Kim quasi strappГІ il binocolo dalle mani di Eun-ho. Mentre guardava nel binocolo, il dottore quasi rimase a bocca aperta dallo stupore.

Ovviamente tutti avevano sentito parlare dei pirati moderni, in particolare di quelli che provenivano dalla Somalia. Ma quel che si sapeva di loro ГЁ che fossero molto legati al loro territorio e che le loro prede fossero le imbarcazioni in rotta nel Golfo di Aden e nel Mar Arabico. Certamente non nel Nord del Pacifico. Erano a migliaia di chilometri di distanza dai loro territori.

Il tedesco si alzò in piedi, fissando la prua, socchiudendo gli occhi per vedere meglio. Si slacciò la fondina di nylon in vita ed estrasse la pistola nera opaca con un movimento così fluido che sembrò che l'arma fosse magicamente apparsa dal nulla tra le sue mani.

Poi Sun parlГІ.

"Puntate l'arma su di loro".

Il dottor Kim lo guardò con un'espressione di assoluta incredulità. "Sei pazzo? Vuoi semplicemente ucciderli?”

"Sono armati," mormorГІ il tedesco. "Fucili d'assalto".

"Hanno visto tutto", insistette Sun. “Ci hanno visto sparare con l'arma e stanno venendo verso di noi. Non è il caso di esitare. Puntala su di loro".

Eun-ho si sentì stringere lo stomaco dal panico. Era strano pensare come, in tutti quegli anni di ricerche, non avesse mai considerato nemmeno una volta che quell'arma avrebbe potuto essere utilizzata per strappare delle vite. Lui sarebbe stato in parte responsabile di quelle uccisioni. Aveva realizzato personalmente i proiettili. Eppure eccoli lì, di fronte a una vera e propria minaccia.

"Hai circa quindici secondi per decidere", annunciГІ il tedesco con il suo accento aspro, piГ№ forte di tutte le parole che Eun-ho gli aveva sentito pronunciare prima.

"No", disse Kim con fermezza. “Possiamo seminarli facilmente. Accendi i motori!”

"Prima dobbiamo ritirare l'arma…" balbettò l'uomo alla console.

"Allora fallo!" StrillГІ Kim. "Subito, veloce!"

"Ma hanno visto tutto!" Insistette nuovamente Sun.

"Dieci secondi", intervenne il tedesco.

Una raffica di spari automatici squarciò l'aria, così forte e improvvisa che Eun-ho istintivamente si mise le mani sopra la testa. Sentì il trambusto dell'ascensore idraulico che riportava il cannone al plasma all'interno dello scafo della Glimmer. Udì le grida, quelle in preda al panico, quelle polemiche dei suoi colleghi, e poi altre, gutturali, concitate e incomprensibili al suo orecchio, in una lingua che non era né coreano, né inglese e nemmeno mandarino, lingue che Eun-ho parlava fluentemente, ma che suonavano infuriate, minacciose e pericolose allo stesso tempo.

Quando ebbe il coraggio di guardare di nuovo, la barca pirata, poichГ© ormai si era convinto che fossero davvero dei pirati, si era avvicinata ancora di piГ№ e aveva rallentato, posizionandosi perpendicolarmente alla prua della Glimmer e rendendole impossibile avanzare.

"Inversione, adesso!" Kim urlГІ non appena le porte si richiusero sopra l'arma.

L'uomo alla console mise una mano sull'acceleratore e, quasi contemporaneamente, un singolo, forte sparo fece sobbalzare Eun-ho. La testa del pilota scattГІ a destra mentre una nuvola di nebbia rossa si posava sul mare alle sue spalle.

Il tedesco abbassò la pistola. Il silenzio e l'incredulità del momento che seguì fu schiacciante; l'uomo alla console cadde sul pontile. I pirati guardavano. I colleghi di Eun-ho rimasero assolutamente immobili. Le loro gambe si erano improvvisamente fatte di pietra.

E in quel momento, il tedesco si voltГІ e sparГІ immediatamente un secondo colpo sulla fronte di Kim.

Questo scosse tutto l'equipaggio. In molti gridarono. Due si precipitarono in avanti, Sun e un altro uomo, Bong, se Eun-ho ricordava correttamente il suo nome. Raggiunsero il tedesco ma lui si limitò a torcere il corpo e, senza nemmeno puntare la pistola, alzò il gomito. Questo colpì il naso di Sun con uno scricchiolio nauseante, sollevando spruzzi di sangue che raggiunsero il viso di Eun-ho. Con la stessa morbidezza con cui aveva sfoderato l'arma, il tedesco si girò la pistola nel palmo, facendola roteare e colpendo Bong con l’impugnatura della pistola proprio dietro la mascella.

Le gambe di Eun-ho si trasformarono in gelatina e le sue ginocchia si piegarono, facendolo cadere sul pontile. Risuonarono altri due colpi in rapida successione, e sebbene avesse già chiuso gli occhi, sentì distintamente il suono di due corpi che cadevano.

Si sentì un fragore d’acqua, e poi un altro: colleghi che avevano scelto di lanciarsi dal ponte. Eun-ho, scosso dal terrore, sapeva che anche quella scelta li avrebbe portati alla morte. Nel freddo Pacifico sarebbero morti in meno di un minuto.

Questi non erano gli scoppi acuti delle armi automatiche; erano singoli colpi sparati della pistola nera. I pirati non stavano sparando; stavano aspettando. Stavano aspettando che finisse per poter prendere possesso dell'arma. Il tedesco li aveva traditi. L'uomo che era stato responsabile della loro incolumitГ  era stato la loro rovina.

Quando finalmente Eun-ho raccolse il coraggio e riaprì gli occhi, il pontile della Glimmer era pieno di sangue. Quattro dei pirati africani si trovavano ora a bordo, e gettarono da una parte i corpi dei suoi compagni.

Il tedesco era in piedi accanto a lui, teneva la pistola nella mano sinistra, come se fosse un semplice accessorio.

"Perché?" Chiese Eun-ho, o almeno ci provò. Ma tutto ciò che gli uscì alla gola non fu altro che un sibilo.

"Sei solo un ragazzo," mormorГІ il tedesco a bassa voce, con l'accento che Eun-ho aveva erroneamente supposto olandese. "Ma spesso i ragazzi sono quelli che soffrono di piГ№ in queste situazioni".

Eun-ho non potГ© fare a meno di sussultare leggermente quando l'uomo premette la canna della pistola contro la sua tempia. Chiuse di nuovo gli occhi. L'aria era fredda, ma il sole del mattino scaldava gli scaldava piacevolmente il viso.




CAPITOLO UNO


Mentre il sole tramontava sulla prateria, Zero giaceva a pancia in giù nel cumulo di neve, sperando di essere abbastanza in basso e lontano dalla capanna da non essere. Maledisse l’ingenuità di essersi vestito di chiaro; la giacca sintetica foderata in pile era beige, piuttosto simile al bianco, in teoria, ma indubbiamente riconoscibile sulla neve candida. Il passamontagna sul viso era nero perché – beh, perché era difficile trovarne uno che non fosse nero, soprattutto all’ultimo momento.

Si portГІ di nuovo il monoculare all'occhio e osservГІ la capanna in lontananza. Ancora nessun movimento. Ma era certo che quello fosse il posto giusto; piuttosto si stava chiedendo se il suo obbiettivo in quel momento si trovasse all'interno oppure no.

Zero avrebbe preferito avere un miglior vantaggio. Era solo vagamente consapevole della situazione in cui avrebbe potuto trovarsi, e non era per niente bella. Aveva degli abiti sulla schiena per difendersi dal freddo. Aveva il monoculare. Aveva una pistola, una piccola Walther PPK d'argento con una canna lunga otto centimetri e una capacità di sei colpi. Molti credevano che PP stesse per "pistola tascabile", dal momento che era così facile nasconderla, ma in realtà stava per Polizeipistole, letteralmente, "pistola della polizia", eppure, lui ne stava realmente nascondendo una, precisamente nella tasca destra della giacca.

Zero non aveva radio, rilevatori di movimento, dispositivi di ascolto, nemmeno un telefono. La CIA avrebbe potuto rintracciarlo usando il suo telefono… o forse, peggio ancora, sua figlia Maya avrebbe potuto rintracciarlo. Non aveva creduto nemmeno un po' alla storia che avesse un appuntamento con un ortopedico in California per la ferita traumatica alla mano di un paio di anni prima. Come al solito, aveva ragione.

Zero non si trovava in California. Non era nemmeno negli Stati Uniti. Si trovava, invece, sepolto per metГ  in un banco di neve nell'angolo nord-orientale della provincia canadese del Saskatchewan. Dovendo ricorrere a mappe cartacee, aveva solo una vaga idea di dove si trovasse. Il paesaggio era poco piГ№ che una larga distesa di praterie a perdita d'occhio, interrotta soltanto occasionalmente da cumuli di neve e da qualche albero spoglio.

E, naturalmente, la capanna.

Si trovava a circa cinquecento metri di distanza dalla sua posizione attuale, e non era altro che un prefabbricato a un piano che non sembrava né vecchio né moderno. Aveva all'incirca le dimensioni e la forma di un rimorchio a diciotto ruote (Zero ipotizzava che fosse arrivata lì proprio in quel modo) ed era stata appoggiata senza tante cerimonie su una base di blocchi di cemento, alcuni dei quali sembravano essersi stabilizzati da quando il peso della cabina era aumentato, facendo sì che l'edificio giacesse inclinato di un angolo di circa tre gradi rispetto al terreno.

Sul lato orientale, Zero poteva vedere una cisterna di acciaio inossidabile, che probabilmente raccoglieva neve sciolta e acqua. Anche a quella distanza riusciva a sentire il debole rombo di un generatore diesel, sebbene non potesse vederlo dalla sua posizione. Ed erano chiaramente visibili due piccoli pannelli solari sul tetto. L'edificio era autosufficiente e quasi completamente nascosto.

Quasi completamente, altrimenti non sarebbe mai riuscito a trovarlo.

Dopo quelle che sembrarono ore, il sole finalmente svanì dietro l'orizzonte, oscurando la pianura a sufficienza e dando a Zero la possibilità di muoversi. Ne fu contento, perché con il calare della notte la temperatura era scesa ulteriormente e il freddo stava diventando insopportabile, anche nonostante le precauzioni che aveva preso per difendersi dal freddo. Nel Saskatchewan settentrionale a febbraio, il clima era tutt'altro che mite.

Prima di avviarsi con cautela verso la casa, fece un rapido esercizio mentale. Aveva iniziato a farlo ogni giorno, e poi quasi ogni ora, in modo automatico, per assicurarsi che la sua memoria non stesse perdendo colpi. Prima pensГІ alle sue figlie, Maya e Sara, rispettivamente di diciotto e sedici anni. RievocГІ mentalmente i loro nomi, i loro volti, la loro etГ , il suono delle loro risate. Poi pensГІ a Maria Johansson, alla sua cascata di capelli biondi e ai suoi occhi grigio ardesia che in qualche modo riuscivano a sembrare cupi e luminosi allo stesso tempo. E infine, pensГІ a Kate, sua moglie defunta.

"Kate". MormorГІ il suo nome ad alta voce, come fosse una preghiera, un "amen" che conclude un momento di raccoglimento; il suo nome era la prima cosa che aveva dimenticato quando i suoi vuoti di memoria si sono verificati per la prima volta. Ricordava il suo nome. Ricordava il suo volto. Il suo profumo, la sua risata e il suo respiro stizzito quando era irritata. Ricordava che era stata assassinata da un ex agente della CIA di nome John Watson, un uomo che Zero aveva considerato amico. Un uomo che era fuggito e si era nascosto dopo che Zero gli aveva risparmiato la vita.

Poi si mosse, lentamente e con cautela, dirigendosi verso la casa, piano piano, misurando ogni passo. Non poteva evitare di lasciare tracce sulla neve, ma almeno poteva evitare di far rumore camminando.

L'esercizio, il "test mentale", come lo chiamava lui, non serviva solo a verificare che la sua memoria non fosse sparita. Poco piГ№ di otto settimane prima un neurologo svizzero, il dottor Guyer, lo aveva visitato, lo stesso uomo che aveva impiantato nella sua testa il soppressore della memoria, nonchГ© l'uomo che aveva detto a Zero, senza mezzi termini, che il suo cervello avrebbe continuato a deteriorarsi a un ritmo sconosciuto, che i suoi ricordi sarebbero svaniti, forse per sempre e che il danno al suo sistema limbico lo avrebbe, con ogni probabilitГ , condotto alla morte.

Questo era il motivo per cui si trovava lì, nei pressi di una casetta remota nel Saskatchewan, di notte, nel pieno dell'inverno. Doveva cercare qualcuno che potesse dargli delle risposte. Almeno così sperava.

Si fermò a una cinquantina di metri dalla casa e si abbassò su un ginocchio, rimanendo in quella posizione per diversi minuti, in silenzio, a guardare. Zero non vide luci accese all'interno. Forse per risparmiare energia? O forse le finestre erano oscurate. Forse non c'era nessuno in casa. Ma sentiva distintamente il rumore del generatore diesel; se nessuno fosse stato in casa, perché l’avrebbero lasciato acceso?

Zero si alzò in piedi e proseguì verso la casa. Sebbene fosse notte, riuscì a vedere la facciata esterna della capanna, non si vedevano telecamere o rivelatori, nemmeno torrette automatiche che potessero ridurlo in cenere nel momento in cui fosse entrato nel raggio dei loro sensori. Per quanto ridicolo potesse sembrare, era una preoccupazione legittima, considerando il suo obiettivo.

Si rese conto allora che la sua mano era scivolata in tasca e stava afferrando la PPK. La ritrasse immediatamente. Non avrebbe avuto bisogno di una pistola, non qui. L'aveva portata solo per precauzione.

Ma quando Zero raggiunse la porta d'ingresso della cabina, si rese conto immediatamente che il suo piano meticolosamente ragionato non lo avrebbe aiutato ulteriormente. Aveva immaginato quello scenario un centinaio di volte, soprattutto durante le ore trascorse nascosto nella neve, ma non poteva immaginare cosa ci sarebbe stato dall'altra parte della porta. Se avesse dovuto fare un'irruzione, sarebbe stato facile: sarebbe entrato all’improvviso, con la pistola sfoderata e pronto a tutto. Prima gli spari, poi le domande.

Questa volta, tuttavia, non fece altro che ruotare la maniglia. La porta non era chiusa e si aprì facilmente. Aprì la porta e superò cautamente la soglia. Come aveva sospettato dall'esterno, la capanna era completamente buia. Ma il generatore continuava a lavorare.

Г€ una trappola.

Non appena il suo cervello elaborГІ quel messaggio, Zero fece un altro piccolo passo avanti. La piastrella sotto il suo piede cedette leggermente, non piГ№ di mezzo millimetro.

Zero si fermГІ immediatamente.

"Non alzerei quel piede se fossi in te". La voce era familiare, eppure sembrava provenire da ogni parte, come se fosse trasmessa da piГ№ altoparlanti. "Alza le mani, per favore".

Zero fece come gli aveva detto la voce. "Non sono armato", disse, con una voce resa roca dalle ore in silenzio al freddo.

"Lo sei", rispose l'ingegnere. “Sei rimasto sdraiato su un banco di neve per circa quattro ore. C'erano telecamere nascoste puntate su di te da due alberi. La grande roccia che hai superato a cento metri da qui è in realtà un metal detector. Hai una pistola nella tasca destra della giacca. Tieni le mani in alto e il piede a terra".

Si accese una luce, un LED bianco brillante che abbagliГІ Zero. Oltre a ciГІ, apparve una sagoma da una piccola stanza sul retro.

"Bixby", disse Zero.

La sagoma si fermГІ.

Zero allungГІ lentamente la mano e fece ciГІ che avrebbe dovuto fare prima ancora di entrare nella casetta; afferrГІ il tessuto del passamontagna e se lo tolse dalla testa. I suoi capelli erano arruffati e alcune ciocche erano incollate alla fronte, pregne di sudore.

"Oh", disse Bixby. La delusione nella sua voce era palpabile. “Non pensavo avrebbero mandato te. Ma evidentemente mi sbagliavo".

"Non mi hanno mandato", replicò Zero con calma, tenendo le mani alzate. “Giuro che non l'hanno fatto. Nessuno mi ha mandato. Sono venuto qui di mia iniziativa".

Bixby fece un passo avanti, assicurandosi di rimanere fuori dalla portata del braccio ma abbastanza vicino da consentire a Zero di vederlo meglio, fermandosi proprio sotto il LED. L'ultima volta che aveva visto l'eccentrico ingegnere e inventore della CIA, Bixby indossava una morbida camicia di seta viola sotto un gilet a tre bottoni nero. Aveva ancora gli occhiali con la montatura in corno, ma ora indossava una semplice camicia di flanella e jeans blu. Non si rasava da molti giorni e la sua barba grigia aveva lo stesso colore dei suoi capelli, che sembravano essere stati pettinati frettolosamente per abitudine e igiene piuttosto che per cura.

Aveva evidenti occhiaie e la sua pelle era giallastra. Zero poteva immaginare che Bixby non avesse dormito molto nei due mesi in cui era fuggito dalla CIA.

"Come faccio a sapere che stai dicendo la veritГ ?" Chiese Bixby.

“Hai detto di avermi scansionato con il metal detector, giusto? Ho portato solo una pistola per precauzione". Si rese conto di quanto quella scusa sembrasse sciocca alle orecchie di un uomo che pensava che Zero fosse lì per ucciderlo. “Non ho un telefono. Nessuna radio. Nessun dispositivo di localizzazione. Lo hai visto".

Bixby alzГІ le spalle. "Puoi fare di meglio".

"Siamo amici".

"Lo eravamo…"

"Lo siamo," disse Zero categoricamente. Riusciva a vedere negli occhi dell'uomo più anziano che voleva credergli. Quante volte Bixby lo aveva preparato per un'operazione? Quante battute si erano scambiati? Pensare che Zero fosse lì per ucciderlo era ridicolo, almeno per lui. Ma Bixby doveva essere cauto. Soprattutto dopo quello che aveva fatto.

Due mesi prima, Zero e il suo team avevano impedito a una banda di mercenari cinesi e al loro leader russo di far esplodere un reattore nucleare in una struttura di Calvert Cliffs. Bixby li aveva aiutati apportando modifiche a una macchina chiamata OMNI, un supercomputer della CIA in grado di spiare qualsiasi telefono cellulare, tablet, computer, radio o dispositivo intelligente negli Stati Uniti continentali. Il suo utilizzo era vincolato a casi di estrema emergenza; era estremamente immorale, altamente illegale e follemente costoso.

Le modifiche di Bixby all’OMNI avevano anche causato danni irreparabili al supercomputer. E Bixby, l'uomo che aveva fatto il danno ma che poteva anche essere l'unico a ripararlo, era fuggito e si era nascosto. Non c'erano dubbi che se la CIA lo avesse mai trovato, non l’avrebbero arrestato, nessun processo, nessuna pena detentiva. Gli avrebbero solo ficcato un proiettile in e regalato una sepoltura poco dignitosa, motivo per cui Zero aveva preso ogni precauzione possibile per arrivare lì.

"Come mi hai trovato?" Chiese Bixby.

"Pensi di poter disattivare l'ordigno su cui mi trovo?" Chiese Zero, indicando la piastra a pressione sotto il suo piede. “A proposito, cos'è? Una mina?"

"Certo che no", rispose Bixby. “Le bombe fanno troppo casino. Dovresti saperlo bene".

"Ah". Un'arma a ultrasuoni, molto probabilmente. Se Zero avesse dovuto tirare a indovinare, staccare il piede dal piatto avrebbe attivato un'esplosione accuratamente direzionata che gli avrebbe causato vertigini, nausea e un fortissimo mal di testa, e forse avrebbe causato lacerazioni ai suoi organi interni.

"Togliti la giacca", ordinГІ Bixby. "Lentamente. E lanciamela".

Zero fece come gli era stato detto, togliendosi prima i guanti spessi, lentamente, poi aprendo la cerniera del cappotto foderato di pile e infine levandoselo completamente. Lo gettò via e Bixby lo prese per il bavero. Solo allora l'ingegnere si frugò nella tasca posteriore dei pantaloni e tirò fuori un piccolo telecomando nero. Premette un solo pulsante e annuì.

Zero trattenne il respiro mentre sollevava il piede, tirando un sospiro di sollievo solo quando fu certo che non fosse accaduto nulla. "Grazie".

"Siediti laggiù", disse Bixby. Zero era così preoccupato per ciò su cui aveva posato il piede che non si era ancora guardato intorno; erano in una stanza singola che fungeva da soggiorno, sala da pranzo e cucina. La stanza sul retro doveva essere una minuscola camera da letto, e lui pensava che da qualche parte ci fosse un bagno e non molto altro.

Zero fece come gli era stato detto e si sedette su una piccola sedia di legno.

"Come mi hai trovato?" Chiese di nuovo Bixby.

"Non è stato facile", ammise Zero. Gli ci erano volute otto settimane per localizzare quella casa nascosta, un tempo molto superiore rispetto alla durata di qualsiasi missione dell'Agente Zero. “Sono andato nel tuo appartamento dopo che sei scomparso, e dopo che la CIA ha fatto un sopralluogo. Ho guardato cosa avevi preso, e cosa non avevi preso. Hai fatto un ottimo lavoro a coprire le tue tracce, ma ho visto che tutti i tuoi vestiti per la stagione fredda erano scomparsi. Non sono nemmeno sicuro che l'agenzia sapesse che ne possedessi una. Sapevo anche che non saresti rimasto negli Stati Uniti, quindi abbiamo pensato ai paesi che, molto probabilmente, potessi aver scelto.

“Abbiamo?” Bixby lo interruppe bruscamente.

"Reidigger mi ha aiutato", ammise Zero. Quando si trattava di trovare persone, Alan era quasi abile quanto lui era bravo a farle sparire. "Mi sono anche ricordato di quell'inverno davvero difficile in cui ti lamentavi dell'artrite alle mani", continuò. “Dicevi che il Trexall era l'unico farmaco che aiutava quando faceva così freddo. Mettendo insieme tutto ciò, e con l'aiuto di un hacker danese che entrambi conosciamo, abbiamo rintracciato tutte le nuove prescrizioni di Trexall dal nostro elenco di paesi in cui potevi essere fuggito e poi li abbiamo incrociati con le identità dei pazienti finché non ne abbiamo trovata una fittizia. Erano migliaia di nomi. Ci sono volute diverse settimane. Ma poi abbiamo trovato un uomo nel Saskatchewan di nome Jack Burton, che stranamente aveva lo stesso nome del protagonista del tuo film preferito”.

L'angolo della bocca di Bixby si piegГІ in un accenno di sorriso. "Te lo ricordi?"

"Sì. Quindi sono venuto qui e sono stato alla farmacia che ti ha dato le pillole. Ho cercato di corrompere il farmacista con mille dollari per sapere dove avrei potuto trovarti. Ma ha rifiutato. Ho pensato di essere in un vicolo cieco, fino a quando non mi è venuta un'idea. Ho chiesto al farmacista se avesse mai sentito l'ultima sulla Cintura di Orione".

A questo punto Bixby fece un vero sorriso. "Che ГЁ una vita nello spazio".

Zero sapeva che c'erano poche cose che Bixby amava piГ№ delle freddure e delle barzellette, ed essendo uno dei pochi altri esseri umani con cui aveva interagito in otto settimane, il farmacista doveva avere ascoltato tutte le sue battute migliori.

"Questo lo ha convinto che ti conoscevo e che dovevo trovarti", concluse Zero.

"Ma perchГ©?" Chiese Bixby.

"PerchГ© siamo amici".

L'ingegnere annuì, sebbene il suo sguardo fosse perso nel vuoto. "Sì. Lo siamo. Ma non torno indietro, Zero. Non posso, e lo sappiamo entrambi".

"Lascia che Alan ti aiuti", lo supplicò Zero. “È molto bravo a far sparire le persone, a farle davvero sparire, non come fa la CIA. Può darti una nuova identità, una nuova vita. Migliore di…" Zero indicò il piccolo prefabbricato in cui si trovavano. migliore di questa".

Bixby prese la seconda sedia di legno, di fronte al tavolino tra loro, e si sedette con un sospiro pesante. "Lavori ancora per loro?"

"Devo farlo. Lo sai". L'unico motivo per cui Zero non si trovava in prigione in un luogo peggiore, come la base H-6 in Marocco, era perchГ© aveva accettato di tornare alle operazioni speciali.

"Amici o meno", disse Bixby, "se sei ancora con loro, allora il fatto che tu sia qui è un problema per me. Non posso farmi aiutare da te. E nemmeno da Alan. Ho fatto una scelta e la porterò avanti. Oltretutto…" Sorrise di nuovo. "Non si sta così male qui. Ed è solo la prima tappa di un lungo viaggio. Credimi".

Zero fece un lungo sospiro, ormai rassegnato. Ma convincere Bixby ad accettare il suo aiuto era solo una parte del motivo per cui si trovava lì; il suo aiuto voleva essere una merce di scambio per una necessità ben più personale.

"C'è dell'altro. Ho bisogno di… aiuto".

Bixby lo guardГІ sorpreso. "Cosa?"

Zero sospirò, pensando attentamente a cosa dire. "Il soppressore della memoria", disse. “Hai contribuito a realizzarlo. E ultimamente ho riscontrato alcuni… effetti collaterali, diciamo così. Molto negativi".

"Zero…"

Lui ignorò Bixby e proseguì. “Ci deve essere qualcosa che possa aiutarmi. O, non lo so, un modo per risolvere il problema. Deve esserci qualcosa che sai che io non…"

"Zero…"

"Ho bisogno di aiuto, dannazione!" Diede un forte pugno sul tavolo per la disperazione.

"Zero", disse Bixby di nuovo, con forza. "Per favore, ascoltami. Quello che ti è successo non ha precedenti. Voglio dire, ti hanno strappato quella cosa dalla testa con un paio di pinze. Nessuno se lo aspettava. Nessuno ci avrebbe mai pensato. Ad essere sincero, sono sorpreso che tu ti sia rimesso. Anche se potessi aiutarti…" Bixby indicò la minuscola casa in cui si trovavano. "Non ho alcuna strumentazione qui".

"Sì", disse Zero piano. Fissò la superficie del tavolo di legno. Era venuto fino a lì per niente. Aveva passato settimane a cercare un uomo che non voleva essere trovato. Non c'erano risposte da trovare né lì né altrove. Il suo cervello lo avrebbe ucciso, e doveva convivere con questa idea fino alla fine dei suoi giorni.

Rimasero un minuto in silenzio prima che Bixby si schiarisse la gola. Quando Zero alzГІ lo sguardo, l'ingegnere gli stava porgendo la giacca.

“Mi dispiace”, disse. "Ti inviterei a passare la notte qui, ma sai che non posso correre rischi".

Zero capiva. Nonostante tutta la sua attenta pianificazione, l'agenzia avrebbe trovato un modo di trovarlo se avesse voluto. Satelliti, chip di tracciamento sottocutanei, buone reti di spie vecchio stile… ogni minuto in quella casa avrebbe messo in pericolo Bixby.

Prese la giacca, si alzГІ e se la infilГІ lentamente. "Suppongo che se qualcuno dovesse tornare in questo posto, non troverebbe nulla".

Bixby sorrise con tristezza. "Supponi bene". E poi disse di nuovo: "Mi dispiace".

Zero annuì e si diresse verso la porta. "Abbi cura di te, Bixby".

"Aspetta".

Zero si bloccГІ immediatamente, con una mano protesa verso la maniglia, immaginando ci fosse un'altra trappola dimenticata.

"Aspetta un momento". Bixby si tolse gli occhiali, si stropicciò gli occhi e se li rimise a posto. "Io… Ti ho mentito. Prima. Quando ti ho detto che sei la prima persona a cui sia mai stato installato il soppressore".

Zero si girГІ di scatto. "Cosa? Mi hai mentito?"

“Sotto minaccia di morte? Sì. Ma, tutto considerato, sembra che il pericolo sia passato". Non riuscì a trattenere una risatina. “Il soppressore che è stato installato in te non è il prototipo. Prima ne è stato costruito un altro. Ed è stato utilizzato su una persona. Circa un anno prima che il tuo soppressore sparisse dal mio laboratorio. Un uomo sui trentacinque anni. Legato all'agenzia".

Un'altra persona a cui è stato installato un soppressore? Improvvisamente il viaggio fino a lì sembrò acquisire un senso.

"Un agente?" Chiese Zero.

"Non lo so".

"Dove si trova?"

"Non lo so".

"Chi era?"

"Non so nemmeno quello".

"Che cosa sai?" Chiese Zero esasperato.

"Senti, per me non era altro che il soggetto A", disse Bixby sulla difensiva. “Ma c'è una cosa che posso dirti. Dopo l'operazione, appena risvegliato dall'anestesia, il chirurgo lo ha chiamato Connor. Lo ricordo perfettamente. Gli disse, "sai chi sei, Connor?"

"Connor ГЁ un nome o un cognome?" Chiese Zero rapidamente.

"Non lo so. Questo è tutto ciò che so”, gli disse Bixby. “Sappiamo entrambi come opera l'agenzia; probabilmente è morto da tempo. Qualsiasi informazione legata a lui sarà stata cancellata. Ma… forse puoi tirarne fuori qualcosa. Se provi a seguire quella traccia".

Zero annuì. Sicuramente ne avrebbe tirato fuori qualcosa, ma non sapeva ancora cosa. "Grazie". Tese la mano e Bixby gliela strinse, forse per l'ultima volta. L'ingegnere non era stato facile da trovare la prima volta, e non avrebbe commesso gli stessi errori due volte. "Per favore, sii prudente. Sparisci. Vai a sdraiarti su una spiaggia da qualche parte per i prossimi vent'anni".

Bixby sorrise. "Sono irlandese. Mi scotto facilmente". Il suo sorriso svanì subito dopo. “Buona fortuna, Zero. Spero che trovi quello che stai cercando".

"Grazie".

Ma mentre Zero tornava nella fredda, incredibilmente buia notte del Saskatchewan, non potГ© evitare di pensare, tra sГ© e sГ©:

spero di ricordare ciГІ che sto cercando.




CAPITOLO DUE


Il funerale del sovrano saudita fu, come previsto, davvero opulento. Almeno questo lo era; quello che il mondo avrebbe visto sulle reti di informazione, il funerale pubblico, dopo che i riti islamici tradizionali erano stati onorati in un contesto piГ№ intimo con la famiglia. Questo era il funerale a cui partecipavano i capi di stato, la nobiltГ  saudita e i leader dell'industria, tenuto nel cortile dorato, circondato di colonne di marmo, del palazzo reale di Riyadh. O meglio, uno dei palazzi reali, pensГІ Joanna mentre si trovava in mezzo ai presenti in lutto, la testa china in segno di riverenza e la fronte cosparsa di sudore e illuminata dal rovente sole saudita.

Lei era la rappresentante degli Stati Uniti, ma non poteva fare a meno di sentirsi leggermente fuori posto per via del suo abbigliamento, un blazer nero, una camicia di seta nera e una gonna a tubino nera. Unito al fatto che la temperatura superava i trenta gradi, quell’abbigliamento la stava facendo soffocare, anche all'ombra. Fece del suo meglio per non darlo a vedere.

Joanna Barkley era una donna pragmatica quanto il suo guardaroba. Non aveva dubbi su quella caratteristica della sua personalitГ , sebbene gli altri talvolta sembrassero dubitarne. Da adolescente, la sua idea di diventare senatrice nello stato della California veniva vista come un sogno irrealizzabile dai suoi insegnanti e coetanei e persino da suo padre, procuratore. Ma Joanna giГ  si figurava il percorso, la carriera che l'avrebbe portata a realizzare quel sogno. Lo sarebbe diventata, semplicemente. All'etГ  di trentadue anni, aveva realizzato il suo sogno, quello che per lei non era altro che un'idea, ed era stata eletta al Congresso degli Stati Uniti, la piГ№ giovane senatrice della storia.

Quattro anni dopo, e poco piГ№ di due mesi prima, aveva scritto ancora una volta la storia quando il Presidente Jonathan Rutledge l'aveva nominata vicepresidente. A trentasei anni, Joanna Barkley era diventata non solo la prima vicepresidente donna nella storia della politica americana, ma anche la piГ№ giovane, insieme a John C. Breckinridge.

Nonostante il suo carattere serio e pragmatico, Joanna non poteva evitare di essere definita una sognatrice. Le sue politiche furono accolte con la stessa considerazione con cui era stato preso il suo sogno di infanzia, ciò nonostante, aveva realizzato tutto ciò che si era prefissata. Per lei, la revisione del sistema sanitario non era affatto impossibile, ma semplicemente qualcosa che necessitava di un piano completo per essere portato a compimento. Uscire dai conflitti in Medio Oriente, raggiungere la pace, il commercio equo e persino sedersi alla scrivania dello Studio Ovale… niente di tutto ciò era irrealizzabile o impraticabile.

Almeno non ai suoi occhi. I suoi detrattori e rivali, che erano molti, avrebbero detto diversamente.

Finalmente la processione si concluse dopo che un uomo alto con la barba grigia ebbe concluso una preghiera, mormorata prima in arabo e poi in inglese. Era vestito interamente di bianco dal collo alle caviglie; un prete, suppose Joanna, o qualcosa del genere. Non era molto esperta di cultura islamica come avrebbe dovuto essere, soprattutto ora che avrebbe dovuto farsi carico di quelle visite e missioni diplomatiche. Ma due mesi non erano stati sufficienti per prepararsi, e il suo mandato fino a quel momento era stato un vortice di eventi, non ultimo dei quali la missione di pace tra Stati Uniti e i paesi del Medio Oriente.

Il re Ghazi dell'Arabia Saudita aveva perso la sua lunga battaglia con una malattia sconosciuta, la cui natura la famiglia reale non era stata incline a condividere con il mondo. Joanna pensava che fosse percepita come una vergogna o ignominia al suo nome e che non aveva alcun desiderio di conoscerne i particolari. Mentre la preghiera volgeva al termine, la processione di leader, diplomatici e magnati si ritirГІ silenziosamente nella santitГ  (e nell'aria condizionata) del palazzo reale, lontano dalla stampa e dalle telecamere. Una cosa curiosa, pensГІ Joanna, considerando quanto sembrasse essere riservata la famiglia reale.

Ma prima che potesse entrare, una voce la chiamГІ.

"Signora vicepresidente".

Si fermГІ. L'uomo che la stava chiamando non era altro che il principe Basheer, o meglio il re Basheer adesso, il figlio maggiore del sovrano defunto. Era alto, aveva le spalle larghe, forse stava anche gonfiando leggermente il petto, se non si sbagliava. Era vestito completamente di bianco, proprio come il prete, ad eccezione del suo copricapo: come si chiama? si chiese, che era stampato in un motivo a scacchi bianchi e rossi che, a dire il vero, le ricordava da vicino una tovaglia da picnic. La sua barba era corta e appuntita, giГ  brizzolata nonostante avesse soltanto trentanove anni.

"Re Basheer". Disse, mentre si congratulava con se stessa per aver ricordato correttamente il suo titolo. "Le mie condoglianze, altezza".

Lui sorrise con gli occhi, ma la sua bocca rimase ferma. "Devo ammettere che abituarsi al nuovo titolo si sta rivelando piuttosto difficile". L'inglese di Basheer era eccellente, ma Joanna notГІ che faticava a pronunciare le consonanti dure. "Immagino che la sua visita sarГ  piuttosto breve. Speravo potessimo scambiarci qualche parola in privato".

Era vero; il volo di ritorno era giГ  stato organizzato. Avrebbe dovuto tornare sul jet entro un'ora. Ma la diplomazia le imponeva di non respingere l'offerta di un figlio in lutto, appena divenuto re e un possibile alleato, dal momento che il governo degli Stati Uniti aveva poca idea dei rapporti diplomatici che avrebbe instaurato con il Re Basheer.

Joanna annuì gentilmente. "Ma certo".

Basheer le fece segno di seguirla. "Da questa parte".

EsitГІ, e a stento si trattenne dallo sbottare, "Adesso?" Il suo sguardo si rivolse alla processione. Basheer aveva appena sepolto suo padre; sicuramente c'erano questioni piГ№ importanti a cui occuparsi che parlare con lei.

Uno stretto nodo di apprensione si formò mentre seguiva di pochi passi il nuovo sovrano, nel palazzo e attraverso una sala di ricevimento per dignitari delle dimensioni di una piccola palestra. Mentre i camerieri servivano il rinfresco agli altri visitatori, Joanna fu condotta verso una piccola anticamera. Notò del movimento con la coda dell’occhio; l'alto sacerdote in bianco la stava seguendo silenziosamente.

Г€ piГ№ che un prete, pensГІ. Un consigliere, forse? Nella cultura dei quei luoghi, spesso queste due figure coincidono. CercГІ con difficoltГ  di ricordare come si chiamassero queste persone, Imam, forse?

Chiunque egli fosse, l'alto sacerdote chiuse le spesse doppie porte dell'anticamera dietro di lui. Erano solo in tre in quella stanza; sorprendentemente, non c'era nemmeno un servitore o una guardia. Divani e voluminosi cuscini dai colori accesi erano disposti ovunque, e persino le finestre erano decorate con pesanti velluti.

Questa era una stanza in cui si parlava di segreti, una stanza senza orecchie. E sebbene non sapesse di cosa avrebbe dovuto discutere, Joanna Barkley sapeva che era precisamente il motivo per cui aveva sperato di tornare rapidamente a Washington.

"Si accomodi", disse Basheer, indicando una delle sedie nella stanza. "Prego".

Si sedette su un divano color crema, ma non si abbandonГІ affatto nГ© fece alcuno sforzo per mettersi comoda. Joanna si sedette sul bordo del cuscino con la schiena dritta e le mani in grembo. "A cosa devo questo incontro?" osГІ chiedere, saltando tutte le formalitГ  di rito.

Basheer si concesse un raro sorriso.

Non era un segreto che le relazioni tra gli Stati Uniti e l'Arabia Saudita si fossero un po' deteriorate da quando il re Ghazi si era ammalato. Ghazi era stato un alleato, ma quando la malattia aveva preso il sopravvento ed era trapelata al pubblico, quelli che avrebbero dovuto parlare per lui erano rimasti stranamente silenziosi. La monarchia in Arabia Saudita era il potere assoluto e dominava tutti i rami del governo, quindi gli Stati Uniti trovarono prudente muoversi cautamente, seguendo i movimenti del principe ereditario Basheer.

Quello che videro non piacque loro affatto.

A peggiorare le cose, Joanna era ben consapevole che l'ex principe aderiva fortemente alla legge della Sharia e aveva un evidente disprezzo per le donne al potere. Nella sua mente non erano e non sarebbero mai stati uguali o pari. Lei era semplicemente inferiore a lui.

"Vorrei parlare brevemente del futuro delle relazioni tra i nostri grandi paesi", iniziГІ il re.

Joanna sorrise gentilmente. "Prima che si pronunci, sua altezza, ho il dovere di informarla che mi manca l'autoritГ  per autorizzare qualsiasi azione a nome del mio paese".

"Certo", concordГІ il re. "Ma qualsiasi argomento discusso in questa riunione potrГ  essere riferito al Presidente".

Joanna cercГІ a stento di trattenere il suo disappunto per l'essere considerata alla stregua di un messaggero, e non disse nulla.

"So che l'America ospiterà l'Ayatollah dell'Iran questa settimana", proseguì Basheer.

"Esatto". Joanna aveva organizzato la visita da sola; l'alleanza strategica con l'Iran era stata una parte fondamentale degli sforzi del Presidente Rutledge per portare la pace tra gli Stati Uniti e l’Iran. Stavano puntando in alto, ma come era solita fare, Joanna aveva affrontato il problema diplomaticamente e senza pregiudizi e aveva scoperto che una soluzione era tutt'altro che improbabile. “I nostri paesi si stanno riconciliando. Un trattato è attualmente in fase di elaborazione da parte delle Nazioni Unite".

Al funzionario in bianco si dilatarono le narici; sarebbe stato quasi un movimento impercettibile se non si fosse trovato in piedi come una statua accanto alle doppie porte. Per questo il suo movimento istintivo ebbe lo stesso effetto di una frase pronunciata.

"Capisco che potrebbe non essere del tutto, come dire, aggiornata", disse altezzosamente Basheer. "Dato che ha da poco ricevuto l'incarico…"

"Ho ricevuto da poco l'incarico", lo interruppe Joanna. "Ma le assicuro che gli affari esteri non mi sono affatto nuovi".

Cosa sto facendo? Si rimproverò. Non era affatto da lei rivolgersi con irriverenza al suo interlocutore durante un incontro diplomatico. Eppure c'era qualcosa in quel giovane re e nel suo consulente statuario che la irritava in modo insostenibile. Era più che un disprezzo per lei personalmente; era un disprezzo per il suo genere, il pensiero che tutte le donne fossero inferiori a lui. Eppure sapeva che doveva mantenere l’autocontrollo. Era la sua prima grande missione diplomatica da quando aveva assunto la carica di vicepresidente e non avrebbe permesso che si concludesse nel peggiore dei modi.

Basheer annuì. "Certo. Quello che intendevo dire era che potrebbe non essere a conoscenza della storia dei rapporti tra i nostri paesi. Cioè, tra l'Arabia Saudita e l'Iran. Siamo nemici giurati e come tali non possiamo accettare un simile trattato. C'è un detto: Il nemico del mio nemico è mio amico. Secondo la stessa logica, l'amico del mio nemico è il mio nemico".

Joanna si morse la lingua, cercando di trattenersi dal dire ciГІ che pensava a quel re testardo. Piuttosto che smontare la sua logica a dir poco fallace, lei rispose: "Allora posso chiederle cosa suggerisce, nella sua saggezza, signore?"

"Una scelta, vicepresidente", disse semplicemente Basheer. "Un'alleanza con l'Iran ГЁ un affronto al mio paese, alla mia gente e alla mia famiglia".

"Una scelta", ripeté Joanna. L'idea che Basheer si aspettasse che gli Stati Uniti scegliessero la pace unilateralmente era ridicola, a meno che, ragionò, non la stesse mettendo alla prova. “Spero che lei capisca che il nostro obiettivo è la pace con tutte le nazioni del Medio Oriente. Non solo l'Iran, e non solo l'Arabia Saudita. Non è un affare personale, si tratta di diplomazia".

"Non posso fare a meno di prenderla sul personale", rispose immediatamente il re. "Come nuovo monarca ci si aspetta che mostri forza…"

“Può comunque farlo”, intervenne Joanna, “unendosi a noi. Ricercare la pace non è un segno di debolezza".

"La pace non è una possibilità", replicò Basheer. "La storia delle tensioni tra le nostre nazioni trascende ciò che potrebbe aver appreso nei libri di testo…"

La rabbia divampò dentro di lei. "Con tutto il rispetto…"

"Lei continua ad interrompermi!" sbottГІ il re.

Joanna trasalì. Chiaramente Basheer non era abituato ad essere interrotto da nessuno, tantomeno da una donna. "Vostra altezza", disse, mantenendo un tono di voce calmo, "Non penso che questo sia il momento giusto per discuterne. Per non parlare del fatto che non ho l'autorità per prometterle quello che sta chiedendo".

"Quello che mi ГЁ dovuto", le disse Basheer.

"E non lo farei", Joanna alzò la voce, "se anche l'avessi". La rabbia che era scaturita in lei non poteva più essere domata. “Siamo ben consapevoli dei suoi… legami, re Basheer. Delle sue alleanze piuttosto discutibili con alcune fazioni".

Basheer socchiuse gli occhi e lei si pentì immediatamente di quello che aveva fatto. Non solo si era lasciata sfuggire, in modo indiretto, che gli Stati Uniti lo stavano monitorando, ma anche che erano consapevoli delle crescenti connessioni tra la sovranità saudita e i gruppi di ribelli che agivano sia all'interno che all'esterno dei loro confini.

"Andatevene", borbottГІ Basheer.

Aspettava solo questo, pensГІ Joanna ironicamente mentre si alzava. Non disse altro, aggiungendo soltanto un brusco "Grazie per la sua ospitalitГ " e voltandosi verso la porta.

"Non credo che abbia capito", disse Basheer ad alta voce. “Non le sto semplicemente dicendo a lei diandarsene. Sto dicendo che gli Stati Uniti dovranno lasciare il mio paese. Le ambasciate sono chiuse, con effetto immediato. Tutte le truppe americane, i cittadini americani, i diplomatici americani devono essere fatti rientrare. Fino a che il suo governo non comincerà a ragionare e non sarà disposto a parlarne seriamente, troncheremo ogni legame".

Joanna Barkley rimase con la bocca semiaperta mentre cercava di valutare se Basheer fosse sincero o se stesse bluffando. Sembrava proprio che fosse serio. "Vuole realmente diventare un nostro nemico per disprezzo dell'Iran?"

"Voi mi avete reso un vostro nemico". Basheer indicГІ la porta senza alzarsi. "Vada a riferirlo al suo Presidente".

Non c'era più altro da dire. Il vicepresidente Joanna Barkley aprì la porta dell'anticamera senza rivolgere una sola occhiata allo stoico sacerdote che era ancora immobile lì accanto. Fu subito accolta dal frastuono di un fitto chiacchiericcio; aveva quasi dimenticato che era in corso la processione funebre. Ma non prestò alcuna attenzione a loro mentre attraversava il lato opposto dell'ampio auditorium, dove i suoi due membri dei servizi segreti la stavano attendendo.

"Andiamo", disse loro bruscamente. "E fatemi parlare con il Presidente Rutledge prima ancora di decollare".

Temeva di aver fallito nel suo primo incarico diplomatico come vicepresidente, che avrebbe dovuto essere semplice e di routine. Ma soprattutto, temeva che la pace con un paese del Medio Oriente significasse solo guerra con un altro.


*

"Che insolenza!" Basheer ringhiò in arabo mentre camminava avanti e indietro nell'anticamera. “Che audacia! Questo è il motivo per cui l'America sta cadendo a pezzi. Per cui l'America cadrà". Rutledge è debole. Quella donna è insopportabile. Se fosse saudita, la giustizierei pubblicamente!”

Lo sceicco non si era mosso dalla sua posizione per diversi minuti, nonostante avesse desiderato estrarre la sottile lama nascosta nella sua manica e portarla alla gola della donna americana. Fece due lunghi passi nella stanza, dirigendosi verso il suo re. “Abbia pazienza, altezza. Non è il momento per perdere la calma. Bisogna usare tatto e disciplina adesso".

Basheer annuì, sebbene le sue labbra fossero ancora arricciate in una smorfia di disgusto. "Sì", rispose. "Hai ragione. Certo".

In circostanze normali, uno sceicco tribale come Salman non sarebbe mai stato alla destra del re. Ma mentre altri si erano ingraziati Ghazi, Salman aveva guardato al futuro e aveva rivolto le sue attenzioni al figlio maggiore, Basheer, che un giorno sarebbe diventato re. Da quando il principe aveva sedici anni, Salman aveva sfruttato ogni opportunitГ  per incontrare il ragazzo. Per ricordargli la sua grandezza. Per incoraggiarlo ad essere un re piГ№ forte di suo padre. Per consolidare in egual misura la necessitГ  della caduta dell'Occidente e dell'espansione del regno saudita. Salman non avrebbe mai potuto essere il re, ma poteva stare dalla parte del re e il suo nome poteva essere conosciuto in tutto il mondo.

"Temo di aver agito in modo avventato", mormorГІ Basheer. "Questa situazione non promette nulla di buono per noi".

"Al contrario", lo rassicurò Salman. “Hai dimostrato che la tua volontà è forte. Ora dobbiamo dimostrare che hai una mano altrettanto forte".

"E come? Dimmi come”, lo implorò Basheer. “Se riusciranno a firmare un trattato con l'Iran, non avremo alleati. Rimarremo soli di fronte al mondo. Non possiamo resistere all'esercito americano. Non possiamo permetterci di entrare in guerra con loro".

"No", disse Salman, posando la sua mano esile sulla spalla del giovane re. "Non possiamo. Ma potremmo non averne bisogno. C'ГЁ un piano, altezza, giГ  in atto. E se avrГ  successo, il mondo occidentale imparerГ  una lezione dolorosa e il mondo vedrГ  la nostra ascesa".




CAPITOLO TRE


Non preoccuparti

Di una piccola cosa,

Perché ogni piccola cosa…

Perché ogni piccola cosa…

"Accidenti", mormorò Zero. "Non lo sapevi?" Fischiettava la melodia recitando il testo a mente, le ragazze gli avevano chiesto più volte di smettere di cantare, ma quei versi l'avevano incantato come mai era successo prima. “Che succede?”

"Stai parlando da solo?" Chiese Sara entrando nella piccola cucina del suo appartamento a Bethesda, nel Maryland. Indossava una maglietta, i capelli biondi in disordine e, a giudicare dalle occhiaie, aveva dimenticato (o trascurato) di lavarsi il mascara dal viso la sera prima.

“Certo!”. Zero le baciò la testa mentre apriva il frigorifero. "Buongiorno, tesoro".

"Mmm", rispose Sara prendendo la caraffa con il succo d'arancia. Era rimasta con Zero sin dal giorno del Ringraziamento, da quando era fuggita dall'istituto di riabilitazione in cui suo padre l'aveva mandata ed era scampata di poco ad un rapimento su una spiaggia. Aveva sedici anni, ormai quasi diciassette, Zero ricordГІ a se stesso, sebbene i suoi lineamenti fossero abbastanza maturi da farle dimostrare almeno un paio d'anni in piГ№. Trovava piuttosto doloroso il fatto che le sue ragazze stessero crescendo, tanto piГ№ che il trauma che aveva vissuto l'aveva invecchiata prematuramente, ma soprattutto, giorno dopo giorno, assomigliava sempre di piГ№ alla madre defunta.

"E tu che stai facendo?" chiese, allungando il collo sopra la spalla del padre per sbirciare nella padella.

"Oh, questa? Questa, mia cara, ГЁ una frittata". Zero prese la padella, la scosse due volte e poi lanciГІ abilmente la frittata in aria.

Sara torse il naso. "Sembra un'omelette".

Г€ simile ad un'omelette. Simil-omelette, potremmo dire. Come se fosse figlia di una omelette e di una pizza. Una frittata".

"Per favore, smetti di dire…"

"Frittata".

Sara alzГІ gli occhi al cielo bevendo un sorso di succo d'arancia. "Sei strano".

"Ehi, topolina" disse Maya entrando in cucina. "Dammene un po'". Indossava pantaloncini corti e una felpa con cappuccio, scarpe da ginnastica e una fascia sulla fronte. I suoi capelli scuri erano tagliati corti, quasi a caschetto, un "taglio da fatina", come lo chiamavano i bambini e se i lineamenti di sua sorella minore ricordavano la loro madre, il viso giovane di Maya era molto piГ№ somigliante a quello di Zero.

Anche Maya stava con lui, e ciГІ rendeva l'appartamento con due camere da letto accogliente ma allo stesso tempo un po' angusto. Le sue ragazze, di diciassette e diciannove anni, condividevano una stanza, ma non se ne lamentavano. Zero contava i giorni mentre Sara viveva in Florida e Maya era stata arruolata a West Point. Ma la primogenita aveva saltato il resto del semestre autunnale, e ora anche il semestre primaverile, e sebbene non avesse affrontato l'argomento, sperava che alla fine sarebbe tornata e avrebbe finito gli studi.

Sara passГІ il succo d'arancia a Maya, che ne bevve un bel sorso. "Maya, papГ  non ГЁ un po' strano ultimamente?"

“Intendi più strano del solito? Sì. Certamente".

"Prima di tutto", disse Zero, "prendete un bicchiere. Non ho cresciuto un paio di selvagge. In secondo luogo, in che senso vi sembro strano?"

"Canti molto ultimamente", disse Maya.

"Ho smesso di farlo quando me l'hai chiesto".

"Adesso fischi molto", gli disse Sara.

"Cosa c'ГЁ che non va se fischio?"

"Stai preparando una frittata?" Chiese Maya.

"Sta cucinando molto", disse Sara come se non fosse nemmeno nella stanza.

"Sì, è strano", concordò Maya. "È come se fosse… più felice".

"PerchГ© vi sembra strano?" protestГІ Zero.

"In questa famiglia…" lo prese in giro Sara. "È strano".

"Oh!" Zero si portГІ una mano al cuore mimando un infarto. "Mi dispiace tanto per aver cercato di arricchire la vita delle persone che amo".

“Non mi fido di questa cosa”, disse Sara facendo una smorfia a sua sorella.

"Dov'eri la scorsa settimana?"

La domanda arrivò così all'improvviso che a Zero sembrò quasi un colpo di frusta. La sua primogenita lo fissò con un sopracciglio inarcato sulla fronte, in attesa.

"Te l'ho detto. Ero in California…"

"Giusto", disse Maya, "sei andato a consultare uno specialista per la tua mano".

"Esatto".

"Peccato che secondo il nostro assicuratore non hai presentato alcuna documentazione", disse Maya con nonchalance. "Non hai pagato alcun premio. Allora, dove sei stato la settimana scorsa?"

Stavo seguendo un ingegnere della CIA, incluso nella lista nera, per vedere se poteva dirmi perchГ© il mio cervello mi sta portando alla morte. Era la veritГ , ma non aveva alcuna intenzione di raccontarla a loro, le sue figlie non sapevano nulla dei suoi ricordi perduti, dei suoi problemi recenti e neppure dell'avvertimento di Guyer.

Allora, sorridendo timidamente, disse: "Forse non sono affari vostri".

Maya sapeva imitare perfettamente quel sorrisetto falso. "Forse non dovresti mentire alle tue figlie".

"Forse sto cercando di tenerle al sicuro".

"Forse non ne hanno bisogno".

"Forse…

Dei colpi alla porta lo interruppero. Il suo primo istinto fu ancora quello di cercare la Glock che aveva nascosto nel cassetto delle posate, e Zero lo notГІ con dispiacere. Nonostante il numero di volte in cui la sua casa era stata saccheggiata, dovette ricordare a se stesso che i terroristi non bussano mai. Fece sforzo sui propri muscoli e cercГІ di scrollarsi di dosso il pensiero, mentre Maya gridava: "Г€ aperto!"

La porta dell'appartamento si aprì ed entrò una donna. Aveva circa due anni meno di Zero, non ancora quaranta, anche se in effetti ne dimostrava almeno una decina di meno. Fuori servizio portava i suoi folti capelli biondi sciolti sulle spalle, ad incorniciarle perfettamente il viso e i suoi occhi color ardesia. Indossava jeans attillati, stivali neri e un cappotto nero lanuginoso. Zero l'aveva vista al meglio, in eleganti abiti da sera, e anche nelle situazioni peggiori, con del sangue sul viso e una pistola in mano, eppure vederla gli faceva ancora battere il cuore.

Maria entrГІ in cucina, diede a Zero un bacio sulla guancia e lasciГІ cadere una scatola bianca sul bancone. "Buongiorno a tutti! Ho portato i croissant".

"Perfetto". Maya ne prese uno e lo addentГІ. "Posso assumere carboidrati prima di correre".

"Ma la frittata…" mormorò Zero.

"Maria, secondo te", le domandГІ Sara. "PapГ  non ГЁ strano ultimamente?"

Maria si accigliГІ. "Strano? Non saprei. Sicuramente diverso. Forse piГ№ felice?"

"Te l'ho detto". Sara prese un croissant.

"Rimani in zona?" Le chiese Zero mentre disponeva la sua frittata poco apprezzata in un piatto.

"Passavo di qui, e sono venuta", gli disse Maria. "Devo andare a Langley".

"Di sabato?" chiese Zero stupito.

Lei alzГІ le spalle, e aggiunse "burocrazia".

"Scartoffie", aggiunse. Zero sapeva perfettamente che non c'era nessuna scartoffia. La "burocrazia" era la scusa che si davano l'un l'altra quando non potevano dire la veritГ  ma non volevano mentire apertamente. Un'ironia naturalmente, dato che la "burocrazia" era in realtГ  una vera e propria balla.

"Dove sei stato la scorsa settimana?" Chiese Maria con finta innocenza.

Zero sorrise. "Burocrazia".

“Touché”.

Maria non sapeva di Bixby e Zero voleva che continuasse a non sapere nulla. Così cambiò rapidamente argomento. "Ci vediamo stasera?"

"Assolutamente sì". Lei sorrise e prese un croissant dalla scatola. "Ma ora devo scappare. Ne prendo uno da mangiare per strada. Ti chiamo più tardi".

"Devo scappare anch'io", aggiunse Maya. “Letteralmente”.

"Vado a farmi una doccia", annunciГІ Sara.

"Ehi, aspettate". Gridò Zero mentre cercavano di abbandonare contemporaneamente la cucina. "Aspettate un attimo". Tre volti in attesa si voltarono verso di lui. “Ehm, stavo pensando… Tra poco è San Valentino. Perciò magari, non prendetevi impegni".

Si guardarono a vicenda. "Dici a noi?" Chiese Maya.

"Voi tre. Ciascuna di voi. Voglio trascorrerlo con le tre donne della mia vita".

"Uhm… certo. Okay". Maya annuì.

“È fantastico", disse Maria.

"Come ho detto," mormorò Sara. “Strano.”

E poi se ne andarono, la porta principale e quella del bagno si chiusero alle loro spalle quasi nello stesso momento.

Zero sospirГІ sulla sua frittata. "Ora a noi due, amica mia". AfferrГІ il piatto e si sedette al piccolo bancone.

A vederlo da fuori tutto sembrava fantastico nella sua vita. Lui e Maria si frequentavano di nuovo ufficialmente e da un paio di mesi avevano ripreso la loro relazione. Lui aveva tenuto l'appartamento a Bethesda e lei il piccolo bungalow che un tempo condividevano. Forse presto sarebbero tornati a vivere insieme. Lui aveva con sГ© le due ragazze, ed era molto bello. Cercava davvero di lasciare loro dello spazio affinchГ© prendessero le loro decisioni da sole, una era ormai un'adulta e l'altra aveva giГ  fatto l'esperienza di vivere da sola. E anche se lo consideravano strano, certamente avevano notato un positivo cambiamento nel suo atteggiamento.

Ed effettivamente era cambiato. Zero si era sforzato seriamente di migliorare, perfezionando le sue abilità culinarie, trascorrendo più tempo con le ragazze, proponendo cose divertenti da fare come famiglia coinvolgendo il più possibile anche Maria. Voleva vivere la vita al massimo… perché non aveva idea di quanto tempo gli restasse ancora da vivere.

Guyer non ne aveva idea. Nemmeno Bixby. E se le due menti piГ№ brillanti che avesse mai incontrato non sapevano dargli risposte, dubitava che chiunque altro al mondo potesse farlo. Avrebbe continuato a perdere la memoria. Di tanto in tanto dei ricordi sarebbero affiorati, come i ricordi degli omicidi compiuti in gioventГ№ come agente oscuro della CIA. Ma aveva deciso che doveva guardare avanti, non indietro. Il passato era il passato, quello che contava ora era il futuro.

Sapeva cosa doveva fare: doveva trovare l'agente di cui Bixby gli aveva parlato, quell'uomo di nome Connor, quello a cui era stato impiantato il soppressore della memoria. Le possibilitГ  che quel ragazzo fosse ancora vivo erano scarse e, nel caso, le possibilitГ  che Zero lo trovasse lo erano ancora di piГ№.

Tuttavia, doveva provarci. Allo stesso tempo doveva continuare a cercare di sfruttare al massimo il tempo che gli era rimasto per influenzare positivamente la vita delle persone che amava. Voleva essere sicuro che, una volta che se ne fosse andata, loro si sarebbero ricordate di lui e di questi momenti. Era questo il lato di lui che voleva ricordassero.

PerchГ© alla fine il suo cervello lo avrebbe ucciso, a meno che non venisse ucciso prima dal dolore per il fatto di dover conservare questi segreti quando aveva promesso a tutti di essere onesto.




CAPITOLO QUATTRO


Maria Johansson fece scorrere la sua tessera magnetica in una fessura verticale nel muro di un corridoio bianco, nei sotterranei del quartier generale della CIA a Langley. Si sentì un forte ronzio, lo scivolare di un pesante dispositivo elettronico e la porta d'acciaio si aprì con grande fragore.

Questo era solo uno dei quattro piani sotterranei del George Bush Center for Intelligence: quattro di cui lei era a conoscenza e probabilmente ce n'erano altri di cui era all'oscuro. Anche in qualità di ex vicedirettore, non era a conoscenza di tutti i segreti dell'agenzia e non era abbastanza stupida da credere che avrebbe mai avuto accesso a tutti i segreti di quell’edificio.

Tuttavia, era stupefacente che la sua chiave magnetica funzionasse ancora. A novembre, dopo aver fermato il gruppo di ribelli cinesi e la loro arma ad ultrasuoni, si era dimessa dal suo incarico e aveva ripreso la sua attivitГ  di agente speciale. Eppure non le avevano ancora revocato le autorizzazioni di cui godeva grazie alla sua posizione precedente.

Ed era piuttosto sicura di sapere il perchГ©.

Maria chiuse la porta dietro di sé e fece un cenno all'unica guardia di sicurezza vestita di grigio che sedeva dietro una scrivania beige. L’uomo stava leggendo una copia della rivista Sports Illustrated. "Buongiorno, Ben".

"Signora Johansson". L'agente in pensione non aveva intenzione di muoversi, tanto meno di controllare il suo ID o scansionare la sua chiave magnetica.

"Devo firmare …?" chiese dopo un momento di imbarazzante silenzio.

Ben sorrise. "Credo di ricordare ancora chi ГЁ lei, l'ho vista pochi giorni fa". CiondolГІ con la testa lungo il corridoio. "Vada pure".

"Grazie".

I tacchi dei suoi stivali fecero rumore sul pavimento piastrellato ed echeggiarono tra le celle vuote mentre si dirigeva verso l'ultima stanza sul lato sinistro del corridoio. Non c'erano altri prigionieri in questo piano seminterrato; si trattava di un’area di detenzione temporanea, solitamente riservata a terroristi locali, criminali di guerra, militari furfanti e occasionali agenti traditori. Era una stazione di passaggio lungo il percorso verso luoghi molto peggiori, come Hell Six in Marocco, o un semplice buco scavato nella terra.

Odiava mentire a Zero. È così che pensava a lui in questi giorni, come a Zero. Le aveva chiesto di smettere di chiamarlo Kent il mese precedente. Nessuno ormai lo chiamava più con il suo ex alias della CIA; ormai non era più Kent Steele. E quasi nessuno tra tutti quelli che si relazionavamo con lui lo chiamavano con il suo vero nome, Reid Lawson. Era semplicemente l'Agente Zero. Accidenti, anche il Presidente lo chiamava Zero. E anche Maria.

Anche se "burocrazia", tecnicamente, non poteva essere considerata unabugia, ricordГІ a sГ© stessa. Era la loro parola in codice per dire "ГЁ un segreto e preferirei che non me lo chiedessi". In effetti, proprio la settimana precedente, quando aveva detto alle ragazze che sarebbe andato in California, le aveva detto che doveva prendersi cura di alcune "scartoffie burocratiche".

Quindi lei non gli chiese nulla. Beh ci aveva scherzato su molto con lui quella mattina, ma non seriamente. Inoltre, cosa avrebbe dovuto dirgli? Negli ultimi due mesisono andata a trovare un'assassina, una prigioniera della CIA e mi imbarazza ammetterlo?

Certo che no. Suonava davvero terribile.

La cella era angusta, con un pavimento e un soffitto di cemento e pareti fatte non di sbarre ma di vetro rinforzato. Una griglia di fori sul lato rivolto verso il corridoio rendeva possibile la comunicazione con la prigioniera che si trovava all'interno. Non c'erano finestre, ma quel che ГЁ peggio ГЁ che non si riusciva a scorgere nemmeno una porta. Maria non era nemmeno sicura di come fosse accessibile la cella; un pannello nascosto in una delle facciate di vetro, molto probabilmente, ma non era minimamente evidente. Era una manovra psicologica intesa a dimostrare alla prigioniera che non c'era assolutamente via d'uscita.

Il cuore di Maria si spezzava un po' ogni volta che vedeva quel vetro. Anche se non c'era nessun altro lì, oltre a Ben, la guardia, non c'era alcuna privacy. All'interno c'era una piccola branda con coperta e cuscino, una minuscola zona bagno che consisteva in un lavandino, una toilette e una doccia, tutti aperti, tutti esposti, ed un'unica sedia d'acciaio, fissata al pavimento.

Ma oggi l'abitante della cella era seduta a gambe incrociate sul pavimento di cemento esattamente al centro della cella, la parte piГ№ aperta di quel piccolo ambiente. Probabilmente, suppose Maria, questo le dava l'illusione di avere un po' di spazio.

"Buongiorno", disse Maria. Doveva parlare a voce un po’ più alta del normale in modo che la ragazza potesse sentirla attraverso i fori praticati nel vetro.

“Ciao”. Mischa non si voltò subito a guardarla. Ma faceva così da quando Maria aveva iniziato ad andarla a trovare. Se ne stava un poco in disparte, quasi per abituarsi alla presenza di Maria.

La ragazza aveva dodici anni, i capelli biondi e gli occhi verdi. Maria poteva definirla carina nonostante il volto inespressivo che generalmente le appiattiva i lineamenti. Indossava semplici pantaloni blu di poliestere o cotone, come un'infermiera in un pronto soccorso, senza tasche o cerniere o alcunchГ© di metallo. Era a piedi nudi. Di solito era imbronciata, parlava poco e sapeva uccidere un uomo tre volte piГ№ grossi di lei, senza il minimo sforzo. L'ultima volta che Maria l'aveva vista senza un vetro che le separasse aveva davvero cercato di uccidere lei e Zero.

"Ti ho portato una cosa", disse Maria in russo. Non era sicura della nazionalitГ  della ragazza, ma il suo inglese era perfetto e senza accenti. Durante le molte visite Maria aveva scoperto che parlava altrettanto bene il russo, l'ucraino e il cinese.

All'altezza del gomito di Maria c'era un piccolo portello rettangolare nel vetro con una maniglia ad anello. Lo aprì e depositò il croissant che aveva preso nell'appartamento di Zero. La portella dalla parte di Mischa, era modificata in modo da non poter essere aperta contemporaneamente a quella esterna, non che avesse importanza. La ragazza non mangiava mai il cibo che Maria le portava prima che se ne fosse andata.

"Dovrebbe essere ancora caldo", aggiunse.

"Spasiba", disse Mischa, quasi troppo a bassa voce per essere sentita. Grazie.

"Ti danno da mangiare abbastanza?"

La ragazza si limitГІ a scrollare le spalle.

Maria chiuse gli occhi per un momento per reprimere le lacrime che improvvisamente le stavano salendo. Non sapeva perché si emozionasse così tutte le volte che veniva a trovarla, ma almeno una volta per ogni visita veniva colpita da un'onda di dolore nel vedere una ragazza così giovane rinchiusa in una cella sotterranea.

Mischa faceva parte del gruppo cinese che era in possesso dell'arma ad ultrasuoni. Il suo capo era una russa dai capelli rossi, una ex spia di nome Samara che si era unita ai cinesi in un complotto terroristico sul suolo americano progettato per apparire come un attacco di matrice russa. Samara e tutti i suoi compagni erano ormai morti. Solo Mischa era sopravvissuta. Eppure nessun paese la reclamava, era stata rinnegata dal mondo intero.

La ragione principale per cui era rimasta nel sotterraneo di Langley non era certamente perchГ© la CIA avesse intenzione di mandarla nel sito nero marocchino. No, era perchГ© l'agenzia non poteva effettivamente dimostrare che avesse commesso dei crimini. Nessuno della squadra, nГ© Zero, nГ© Strickland, e certamente nemmeno Maria, aveva fatto dichiarazioni contro di lei o raccontato in dettaglio le sue azioni.

Semplicemente non sapevano cosa farsene di una bambina potenzialmente pericolosa, a cui probabilmente avevano lavato il cervello, molto ben addestrata e decisamente letale. E così rimase lì.

Ma Maria non vedeva nulla di tutto ciГІ. Vedeva semplicemente una ragazza che, nel corso di un paio di mesi, aveva mostrato una grande vulnerabilitГ , aveva dimostrato di avere ancora un lato umano.

"Che c'ГЁ?" Chiese Mischa.

Maria si rese conto di avere ancora gli occhi chiusi. Li aprì e sorrise quando vide la ragazza che la guardava interrogativa. "Sai… per essere sincera, sono triste".

“Perché?" Lo chiese con indifferenza, come se fosse una domanda retorica.

"Sono triste per te", disse Maria. "Che devi stare qui".

"Sono stata in posti peggiori", disse semplicemente la ragazza.

"Dico sul serio", le disse Maria con fermezza. "Meriti qualcosa di meglio. Non sei un animale. Forse…” Si fermò. Forse potrei negoziare per procurarti una cella con una finestra, fu sul punto di dire.

Ma sarebbe stata comunque una cella.

Maria aveva cominciato a far visita alla ragazza solo due giorni dopo la sua incarcerazione, e da allora veniva due volte la settimana. Durante le visite Mischa non la guardava neppure, nГ© le diceva mai una parola. Le visite successive servirono per convincere la ragazza che Maria non andava a trovarla per ferirla o torturarla. Maria non cercava informazioni. In realtГ , non voleva che la ragazza parlasse della sua vita passata, e quella era la veritГ  assoluta; la cella era monitorata sia da video che da registrazioni audio e qualsiasi discussione sul passato di Mischa avrebbe potuto svelare indiscrezioni che le avrebbero procurato un biglietto di sola andata verso un luogo ben peggiore.

Maria aveva impiegato sette settimane per capire che il colore preferito della ragazza era il viola e che le piacevano i Tootsie Rolls, anche se era chiaro che probabilmente Mischa non aveva mai assaggiato altri tipi di caramelle. Così Maria gliene portò un po'. Dopodiché divenne un rito per lei portarle un po' di cibo e, con il permesso di Ben, la guardia, lo faceva scivolare attraverso la piccola porta rettangolare nella cella.

Maria sapeva di essere osservata, ma non le importava. In effetti, era abbastanza certa che il motivo per cui aveva ancora le autorizzazioni da vicedirettore fosse perchГ© andava a trovare la ragazza. FinchГ© lo faceva nel suo tempo libero, nessuno doveva fare altro che guardare, ascoltare e sperare che arrivassero delle informazioni.

Maria si abbassГІ sul pavimento e si sedette a gambe incrociate appena oltre il vetro, le sue ginocchia quasi toccavano la superficie della cella. "Ti piacerebbe giocare?"

Mischa la guardГІ con la coda dell'occhio per un attimo. "Che tipo di gioco?"

"Si chiama Never Have I Ever". Ne hai mai sentito parlare?

La ragazza scosse la testa.

"È molto semplice. Alza tre dita, in questo modo". Maria sapeva che la ragazza non avrebbe parlato apertamente, ma sperava che nascondere qualche domanda in un gioco l'avrebbe convinta ad aprirsi di più. “Inizierò dicendo qualcosa che non ho mai fatto, ma che mi piacerebbe fare. Se tu hai già fatto quella cosa, abbassa un dito. Poi dì qualcosa che non hai mai fatto tu. Se tutte le tue dita sono abbassate, hai perso".

Mischa rimase a fissare il pavimento per alcuni secondi, abbastanza a lungo perchГ© Maria potesse pensare che il suo stratagemma non fosse intelligente come aveva inizialmente pensato.

Poi la ragazza sollevГІ lentamente un braccio e sollevГІ tre dita.

"Bene. Comincio io. Vediamo… non sono mai stata alle Bahamas".

Le tre dita della ragazza rimasero alzate.

"Bene" disse Maria, "ora tocca a te".

"Non ho mai…" mormorò la ragazza. "Giocato a calcio".

Maria piegГІ lentamente un dito verso il basso. "Ma ti piacerebbe?"

Mischa annuì.

"Hai visto altri bambini giocarci? o alla TV?"

“In televisione. Sembrava…" Si interruppe per un momento, come se stesse cercando la parola giusta. "divertente".

Maria trattenne il sorriso. Quella era la piГ№ grande confessione che aveva ottenuto finora da Mischa. "Molto bene. Tocca a me. Non ho mai mangiato caramelle fino a star male".

La fronte della ragazza si corrugГІ. "PerchГ© mai dovresti farlo?"

“Beh, tu non lo faresti, immagino. Ma a volte le persone tendono a esagerare".

Le tre dita di Mischa rimasero alzate. "Non ho mai avuto un'amica".

Maria si morse rapidamente il labbro per soffocare un forte sussulto che quasi le sfuggì". Non si aspettava quel candore e fu presa alla sprovvista, come da una morsa che la afferrasse all'improvviso.

"Mi dispiace", disse dolcemente abbassando il secondo dito. Forse dovremmo fermarci".

"Ma sto vincendo".

Un sorriso involontario si aprì sulle labbra di Maria. "Hai ragione. è vero. Ok. Non ho mai coltivato un giardino".

Le sue tre piccole dita rimasero sollevate e Maria trattenne il respiro nell'attesa di quello che la ragazza avrebbe potuto aggiungere.

"Non ho mai incontrato mia madre".

Maria lasciò che emettesse lentamente un sospiro. Era un'affermazione terribile, ma non così sorprendente. Immaginava che Mischa fosse probabilmente stata abbandonata, o orfana, o forse addirittura rapita dai cinesi o da Samara o da qualunque altro gruppo che potesse averla addestrata. Abbassò l'ultimo dito e si mise le mani in grembo.

"Hai vinto", disse. Il gioco si era completamente ritorto contro di lei. Oltre a voler giocare a calcio, l'unica cosa che Maria aveva appreso era che la vita della ragazza, come già aveva immaginato, era stata terribile. Se solo…

"Mischa", disse all'improvviso. “Non posso promettere che incontrerai mai tua madre Ma posso prometterti altre cose. Posso prometterti che non rimarrai qui per sempre". Parlava in fretta, come se avesse paura che le parole potessero smettere di scorrere se si fosse fermata. “Potrai giocare a calcio, avere amici e… potrai mangiare caramelle fino a star male, se lo desideri. Potrai fare tutte queste cose". Maria cercò di reprimere le lacrime, lei stessa sorpresa per le promesse che stava facendo e di cui si era già pentita. Ci poteva provare, certo, ma non avrebbe potuto garantire nulla. "Dovresti avere tutte quelle cose".

"Come faccio a crederti?" domandГІ la ragazza.

Maria scosse la testa, sapendo che se avesse fallito si sarebbe scavata la fossa da sola. "Iniziamo da un primo passo. Lascia che ti porti qualcosa. Non solo cibo. Dimmi qualcosa che vorresti. Qualcosa da fare. Un… un gioco, o una palla, oppure…" Non aveva idea di cosa potesse interessare la ragazza.

Mischa ci pensГІ un momento. "Un libro".

"Un libro?"

“Dostoevskij”.

Maria rise, un po' sorpresa. "Vuoi che ti porti Dostoevskij?"

"Memorie dal sottosuolo".

"Wow. Va bene… Sì. Te lo porterò. Promesso". Maria si alzò in piedi. "Tornerò tra un paio di giorni e ti porterò il libro".

"Grazie, Maria". Era la prima volta che la ragazza la chiamava per nome. Era bello sentirlo, ma allo stesso tempo straniante.

“E… Mischa, ti sbagliavi su una cosa. Tu hai un'amica".

Maria si allontanò per il corridoio, con gli stivali che rimbombavano e riecheggiavano sul cemento. Non si voltò per vedere, ma sentì il rumore del piccolo portello d'acciaio, dove aveva messo il croissant, e sorrise.

Non sapeva come sarebbe riuscita a convincere qualcuno a liberare Mischa, o addirittura a garantirle piГ№ spazio e una maggiore privacy, ma ci avrebbe provato in tutti i modi. La ragazza le aveva dato la prima chiara indicazione che non era del tutto indottrinata, che dopotutto era ancora solo una bambina, una che voleva amici, fare sport e avere una famiglia.

Maria avrebbe fatto in modo che potesse fare tutto questo. Non poteva rimangiarsi le promesse che aveva fatto, non aveva altra scelta che mantenerle.




CAPITOLO CINQUE


Zero indossava occhiali da sole e un berretto con un teschio nero, il bavero della giacca alzato mentre apriva la porta dell'ufficio del garage della Terza Strada ad Alexandria, in Virginia. Il suo abbigliamento era probabilmente eccessivo, ma da quando aveva scoperto dove si trovava Bixby cercava di rimanere il piГ№ possibile in incognito quando andava alla ricerca di informazioni. L'agenzia in passato aveva sempre tracciato la sua posizione, quando lui non se l'aspettava. Ed era probabile che lo stessero facendo ancora.

Il piccolo ufficio era vuoto, fatta eccezione per una scrivania d'acciaio con un vecchio computer e due sedie per gli ospiti. Sentì una musica ovattata provenire dal garage e la seguì, aprendo la seconda porta e trovandosi assalito da "Bad Moon Rising" dei CCR che squillava da uno stereo apparentemente vecchio quanto la canzone.

Premette il pulsante di arresto, ГЁ una cassetta? Ma Alan andГІ avanti a canticchiare, molto stonato, da sotto una Buik Skylark del 1972 color ciliegia.

"Questa ГЁ la parte migliore della canzone", borbottГІ mentre usciva da sotto la Buick sistemata su un carrello scricchiolante. "Mi dai una mano? Che ne dici?"

Zero afferrГІ la mano robusta di Alan e con un po' di sforzo aiutГІ quel pezzo d'uomo a mettersi in piedi. Anche Alan emise un gemito, ma Zero sapeva che stava fingendo. Alan aveva le spalle larghe ed era leggermente sovrappeso in vita, ma sotto c'erano strati di muscoli forgiati da una carriera trascorsa come agente della CIA. La sua folta barba, ora macchiata di grigio, e il cappello da camionista oscuravano i suoi lineamenti e perpetuavano ulteriormente la sua falsa identitГ  di semplice meccanico, ma Alan Reidigger era molto, molto piГ№ di un semplice meccanico, ed era anche il miglior amico di Zero, per quanto si potesse ricordare.

"Sei un po' in anticipo", osservГІ Alan.

"Vuoi dire che non ГЁ pronta?" Chiese Zero, indicando la macchina.

“Oh, è pronta. Pensavo solo di avere un po' più di tempo per esercitarmi sul ritornello. Dai, salta dentro". Zero si infilò sul sedile del passeggero mentre Alan si metteva al volante. Girò la chiave nel blocchetto di accensione e il motore emanò un ruggito da sotto il cofano.

Alan aveva tanti difetti, uno di questi era una certa tendenza ad essere paranoico. Era convinto che il suo garage fosse controllato dalla CIA, nonostante lo perlustrasse continuamente. Zero non aveva idea a chi appartenesse la Skylark, ma dietro i suoi vetri oscurati e con il rombo del motore, nessuna telecamera o attrezzatura audio li avrebbe potuti nГ© vedere nГ© ascoltare.

"Allora, cosa hai trovato?" chiese Zero.

"Io? Niente". Alan estrasse dalla tasca di flanella un fazzoletto giГ  macchiato e si asciugГІ le mani unte. "Ma forse Babbo Natale ti ha lasciato qualcosa nel vano portaoggetti".

Zero lo aprì e tirò fuori il grosso faldone a tre anelli che c'era dentro. Tra le copertine di plastica c'erano almeno centocinquanta pagine. "Cristo, Alan. Hai hackerato il database della CIA?"

"Certo che no", disse Reidigger indignato. "Ho pagato qualcuno per farlo". Sghignazzò, arricciando gli angoli della barba. "Proprio così, c'è l'identità e la posizione attuale di ogni persona affiliata alla CIA con il nome o il cognome Connor negli ultimi sei anni".

"Impressionante". Zero sfogliò rapidamente le pagine e intravide una dozzina di volti, foto identificative molto probabilmente, con paragrafi di informazioni personali sotto ciascuna. "Sto aspettando il ma…"

"Ma", disse Alan, "Ho già scorso tutto e…"

"E non si fa accenno al soppressore della memoria". Zero scosse la testa. “Non mi aspettavo di trovare qui questa informazione. Sto cercando qualcuno che è scomparso senza lasciare traccia. Ciò che si trova nei file non corrisponde al tipo di persona che era, né alla descrizione del suo lavoro".

"Forse se mi avessi lasciato finire". SbuffГІ Alan sbuffГІ. "Ho giГ  controllato tutto anche per quello. Senti, Zero, sono molto bravo a far sparire le persone che vogliono sparire, e ho imparato quasi tutto dall'agenzia. O il ragazzo che cerchi ГЁ morto, oppure non ГЁ in quel raccoglitore, e ci sono buone probabilitГ  che non esista proprio. Almeno non su documenti cartaceo o su computer".

"Deve essere da qualche parte", mormorò Zero. "E' come cercare un ago in un pagliaio. Un conto bancario segreto, un abbonamento a una palestra, una garanzia scaduta…"

"E come pensi che riusciremo a trovarlo?"

"Non lo so". Aprì il raccoglitore su una pagina a caso e la scannerizzò. “Voglio dire, come facciamo a sapere che non è questo il ragazzo? Era un agente della KIA in Libano. Ma potrebbe essere una menzogna".

"Potrebbe" concordГІ Alan, "ma ciГІ significherebbe che ГЁ morto. Non credo sia questo che vuoi".

"No. No". Pensa, Zero. Ti devi essere perso qualcosa. "Concordiamo almeno sul fatto che dovrebbe essere un agente. Noi agenti siamo i più facili da far sparire. Potrebbero dire che è stato mandato da qualche parte e che non è più tornato…"

"Sono supposizioni", gli disse Alan. "E se qualcuno ci sta guardando, inizierà ad insospettirsi”.

"Sì", mormorò. I loro incontri in auto non avrebbero dovuto essere troppo lunghi, per non destare sospetti nel caso qualcuno li stesse spiando. "Hai ragione".

Alan fece per spegnere il motore, ma Zero non si mosse ancora.

Che cosa succede?

Gli tornarono in mente le parole di Bixby, la settimana precedente a Saskatchewan.

"Dopo averlo installato, mentre usciva dall'anestesia, il neurochirurgo l'ha chiamato Connor. Lo ricordo perfettamente. Gli disse, "sai chi sei, Connor?"

"Aspetta!" Zero allungò in fretta la mano e impedì ad Alan di spegnere il motore. "Ci sono! Non riesco a crederci di non averci pensato prima. Il neurochirurgo l'ha chiamato Connor!"

"Eh?"

"Questo è quello che mi ha detto Bixby", spiegò rapidamente. “Sono stato così fissato nel trovare questo Connor che non ho nemmeno pensato di provare a cercare il neurochirurgo! Quanti ce ne potranno essere nei registri della CIA degli ultimi cinque anni? Molti meno di questi, scommetto!" Disse scuotendo il raccoglitore. Potevano restringere il campo ora anziché sondare centinaia di possibilità, anche se Zero non ne era proprio sicuro. Qualche dozzina, forse meno?

Alan sospirò. "Va bene. Ora vorrai che io esegua…”

"Voglio che tu esegua un'altra ricerca, sì".

"Sai che quel raccoglitore mi ГЁ costato cinquemila dollari?"

"Ti offro da bere". Alan sorrise, ma tornГІ subito serio. "Ti prego".

"Sai che farei qualsiasi cosa per te, amico". Alan spense il motore; questa volta non c'era un "ma" nella sua affermazione. Era un semplice fatto e Zero lo sapeva. Alan gli aveva salvato la vita piГ№ di una volta, e anche alle sue figlie. Aveva fatto di tutto per togliere Zero dai guai quando era stato necessario. Alan si era persino finto morto, aveva rinunciato alla sua vita per alcuni anni ed era fuggito, tutto per il bene di Zero.

E ancora peggio, era vero anche il contrario. Anche lui avrebbe fatto qualsiasi cosa per Alam, ma Alan non gli aveva mai chiesto nulla. Almeno niente di così significativo come ciò che lui aveva fatto e avrebbe fatto ancora per Zero. Il motore si spense, ma il silenzio che invase la cabina della Skylark era ugualmente rumoroso.

"Grazie", disse Zero a bassa voce. "Sai che non andrei molto lontano se non fosse per te".

"Saresti morto se non fosse per me". Alan sorrise, anche se era la verità. "Quindi troviamo il neurochirurgo…"

"E vediamo tutto quello che sa…"

"Troviamo l'agente…"

"E speriamo che non sia morto", concluse Zero.

"Pezzo di merda", ridacchiò Alan, ma si scurì subito. "Dobbiamo trovare quel ragazzo. Ma mi devi due drink".


*

Il Centro della comunitГ  odorava di scaglie di cedro per qualche motivo. Ogni stanza, persino le sale, puzzavano di gabbia per criceti. Sara pensГІ che probabilmente quell'odore veniva dal parco giochi all'esterno, ma era febbraio, Cristo. Le finestre erano chiuse e il parco ghiacciato. PerchГ© persisteva quell'odore di scaglie di cedro?

CercГІ di non pensarci muovendo il pennello in tocchi delicati. In classe erano in quattordici, di tutte le etГ , il piГ№ anziano era un uomo calvo sulla sessantina. Erano tutti seduti su sgabelli davanti ai loro cavalletti centro della stanza era stata posizionata una cesta di frutta su un piedistallo. Natura morta, la chiamavano.

A Sara veniva da ridere. Natura morta. Fino a due settimane prima sarebbe stata una metafora che rappresentava bene i suoi sentimenti.

L'insegnante d'arte era una donna dall'aspetto fragile, stile bohémien, di nome Guest, che indossava un caftano, un paio di occhiali da gufo e aveva una criniera di capelli biondi crespi. Girava lentamente intorno al cerchio di studenti, facendo una pausa ogni tanto per mormorare parole di incoraggiamento come "sì, bene" o "prospettiva eccellente, Mark".

Sara sentì la schiena irrigidirsi, sulla difensiva, quando l'insegnante si fermò dietro al cavalletto.

"Oh", le sospirò la signora Guest all'orecchio. "Che immagine, Sara. Non ci sono risposte sbagliate, ma ti prego dimmi, che cosa ti ha spinto a dipingere la banana di color rosa?”

Il suo primo istinto fu quello di crear confusione nella mente di quella donna, di guardarla dritta negli occhi e dirle, cheintende dire? Non sono rosa le banane? Io le vedo così. Invece si morse la lingua e prese in considerazione di formulare una risposta che un'insegnante d'arte di una comunità potesse trovare profonda.

"PerchГ©", disse Sara con un colpo drammatico del suo pennello, "tutte quelle degli altri sono gialle".

La signora Guest si mise una mano sul cuore. "Mia cara, sei destinata a fare grandi cose".

Sara trattenne un sospiro mentre l'insegnante proseguiva oltre. Forse il corso d'arte era stato un errore. Ma non aveva disegnato o dipinto nulla da un bel po' di tempo, e anche se detestava la terapeuta della riabilitazione, tuttavia aveva avuto il merito di suggerire a Sara di sviluppare una passione, qualcosa da amare e in cui dedicarsi durante i momenti bui. Poteva trattarsi della pittura.

C'erano ancora tempi bui. I momenti peggiori della sua dipendenza erano ormai alle spalle e anche le crisi erano piГ№ leggere ora. Non aveva piГ№ toccato una pasticca dal giorno del Ringraziamento. Ma temeva ancora l'oscuritГ  che aveva dentro, la possibilitГ  troppo concreta che i suoi demoni potessero tornare indietro in qualsiasi momento. Temeva che un giorno qui demoni avrebbero potuto prenderla completamente di sorpresa e sopraffarla, trascinarla in un baratro nero dal quale non sarebbe stata in grado di fuggire.

Ancora una volta si mise quasi a ridere di sГ© stessa. Sei un'anima troppo dilaniata. Se Maya fosse con lei le suggerirebbe un po' di autoironia per venirne fuori.

Ma Maya non era lì e allora Sara dipinse della frutta di cera di color rosa. La sera studiava per il suo diploma. Generalmente non sarebbe stata molto ispirata a farlo ma, e non sapeva ammetterlo apertamente, vedere il cambio di comportamento di suo padre le aveva dato una nuova carica. Nonostante lo prendesse in giro, apprezzava il cambiamento.

Era comunque molto strano. Di solito la gente non cambia così. C'era sempre una ragione, un catalizzatore. Il suo era quello di riprendersi dalla tossicodipendenza. Mentre suo padre nascondeva le vere motivazioni, ne era sicura. Ma aveva i suoi problemi, e anche Maya, quindi nessuna delle due indagò oltre.

"Temo che non abbiamo piГ№ tempo oggi", disse la signora Guest. "Devo iniziare il mio corso di ceramica. Potete lasciare qui i quadri ad asciugare, ma vi prego di pulire i pennelli prima di andare via. Grazie!"

Sara sospirò. Aveva appena dipinto di arancione la mela e stava considerando di trasformarla in una zucca, ma avrebbe dovuto attendere. Pulì diligentemente la sua postazione, sollevò lo zaino su una spalla e si diresse lungo il corridoio dall'odore di cedro.

Se la prese con calma trascinando i piedi, non aveva fretta di tornare a casa in bici con il freddo che faceva. Maya si era offerta di venire a prenderla, ma Sara non voleva dipendere da nessuno. Inoltre, l'aria gelida che le sferzava il viso la teneva vigile.

Sbirciò in varie stanze della comunità mentre si trascinava lungo il corridoio verso l'uscita. C'era una specie di lezione di ginnastica per bambini, un mucchio di ragazzacci che rotolavano sulle stuoie e cercavano di farsi degli esercizi. Passò davanti al corso di ceramica, al laboratorio informatico…

La porta alla sua sinistra era socchiusa di qualche centimetro, non abbastanza per farle vedere dentro. Ma mentre la superava, carpì un frammento di conversazione all'interno della stanza.

"Mi ero ripromessa di non tornare mai piГ№ all'eroina".

Sara si bloccГІ, letteralmente, con un piede a mezz'aria, allungando il collo verso la porta.

"Ma come puoi immaginare", disse una donna cupamente dall'interno, "la mia dipendenza la pensava diversamente. Un brutto giorno, mi ha preso. Conoscevo un ragazzo, mio vicino di casa. L'ho chiamato".

Sulla porta c'era un cartello, solo un foglio di carta bianca con alcune parole stampate con inchiostro nero, tenuto agli angoli con nastro adesivo.


Legami comuni


Condividi il trauma, condividi la speranza

"Sono passati solo pochi minuti". La donna all'interno abbassò la voce, quasi al punto che Sara non riuscì a sentire. Spinse delicatamente la porta, aprendola ancora di un paio di centimetri. "Ho lasciato mio figlio di due anni nell'appartamento da solo, ma è stato solo per pochi minuti". All'interno della stanza, Sara poteva vedere le donne sedute a semicerchio, una di fronte all'altra, con espressioni sommesse, quasi funerarie.

"Ma in quei pochi minuti, il mio ex ragazzo, il padre del mio bambino, decise di passare da me". La donna che parlava fissava il pavimento. Aveva la pelle pallida e senza trucco, i capelli castani raccolti in una coda di cavallo semplice e fatta in fretta. "Sono tornata con la roba in mano e l'ho trovato con mio figlio in braccio. Da quel giorno l'ho perso…"

Improvvisamente una faccia riempì la porta parzialmente aperta, facendo sussultare Sara che fece un piccolo balzo all'indietro. Una donna le sorrise, aveva l'aspetto in qualche modo giovane e matronale allo stesso tempo, come quel tipo di mamma sportiva sempre pronta ad invitare a cena gli amici dei figli.

"Ciao", disse la donna piano, per non interrompere l'incontro che si stava svolgendo alle sue spalle. "Sei qui per noi?"

“Ehm io…" Sara si schiarì la voce e scosse rapidamente la testa. "No. No davvero. Stavo solo curiosando. Mi dispiace".

"Non preoccuparti". La donna fece un piccolo passo nel corridoio e chiuse delicatamente la porta dietro di sé. "Siamo un gruppo di supporto per le donne che hanno vissuto diversi tipi di traumi. Tossicodipendenza, violenze domestiche, depressione… Condividiamo le nostre esperienze e attraverso le altre troviamo…"

"dei legami comuni", mormorò Sara. "Sì, ho capito".

La donna le sorrise. "Esatto". Poi fece qualcosa di strano: guardГІ Sara negli occhi, e corrugГІ la fronte come per aggrottare le sopracciglia, anche se il sorriso non abbandonГІ mai le sue labbra.

A Sara non piaceva affatto quello sguardo. Era come se la donna stesse leggendo dentro di lei.

“Sei sicura di non voler entrare? Puoi semplicemente sederti e ascoltare. Non devi dire niente".

"No. Grazie. va bene così…" Sara fece un altro passo indietro. "In effetti, stavo andando via". Aveva fatto bene da sola senza riabilitazione; di certo non aveva bisogno di un "gruppo di supporto".

Si voltГІ, ma la donna continuГІ a parlare. "Sono Maddie, comunque".

"Sara", la chiamГІ.

"Г€ stato un piacere conoscerti. Ci vediamo, Sara".

No, non credo. Sara si affrettГІ lungo il corridoio. All'improvviso il freddo di febbraio nel Maryland le sembrГІ quasi accogliente.




CAPITOLO SEI


Maya fissava il cellulare che teneva in mano. Il registro delle chiamate era aperto, il numero era lì. Doveva solo toccarlo.

Magari domani.

Si sedette a gambe incrociate sul suo letto, nascosto in un angolo della camera, di fronte a Sara. Gli spazi a volte erano angusti, ma mai come nelle baracche di West Point a cui era abituata. E Sara aveva avuto quattro coinquilini quando viveva a Jacksonville, quindi quel tipo di sistemazione poteva andar bene ad entrambe. In diverse occasioni avevano rifiutato l'offerta del padre di farle dormire nella camera piГ№ grande dell'appartamento.

Maya lanciГІ il telefono sul copriletto accanto a una copia in gran parte ignorata dell'Ulisse ("Un trionfo di masochismo", come lo chiamava suo padre) e una barretta proteica mangiata a metГ . Voleva fare la chiamata. E l'avrebbe fatto. Ma non quel giorno.

Il numero, se avesse avuto il coraggio di chiamarlo, l'avrebbe messa in comunicazione con l'ufficio della preside di West Point, il generale di brigata Joanne Hunt. L'ufficio della Hunt aveva chiamato Maya non meno di quattro volte nelle ultime due settimane, ma non avevano lasciato messaggi vocali o qualsiasi altra indicazione sul perchГ© stessero cercando di raggiungerla.

Non ce n'era bisogno, e lei sapeva perchГ©. Dopo un'esperienza straziante nello spogliatoio femminile e una lite con tre ragazzi durante la quale Maya aveva picchiato gravemente due di loro e quasi ucciso il terzo, la preside Hunt le aveva gentilmente offerto di prendersi una pausa per il resto del semestre autunnale, in attesa di farla tornare in gennaio, dopo la pausa invernale.

Ma Maya non era tornata ed era troppo tardi per farlo ora. Si era persa troppo. Aveva prolungato inutilmente la sua istruzione di almeno sei mesi, un duro colpo per il suo obiettivo di diventare il piГ№ giovane agente della CIA nella storia dell'organizzazione.

Aveva solo bisogno di piГ№ tempo. Questo ГЁ quello che aveva detto a suo padre e sua sorella. Ancora un po' di tempo con sГ© stessa e con loro e poi sarebbe ritornata. Ma sapeva benissimo che ogni giorno passato senza fare quella telefonata l'avrebbe allontanata sempre di piГ№ dal suo ritorno.

La porta dell'appartamento si aprì e Maya si irrigidì per un attimo, una reazione naturale dato il numero di volte in cui qualcuno era entrato nella loro casa con l'intenzione di ucciderle o rapirle. Ma sapeva riconoscere i passi di suo padre ed il suo sospiro frustrato quando la porta si bloccava leggermente, perché il legno si era espanso a causa del freddo, e tornò a respirare regolarmente.

"Tesoro, sono tornato!" Disse.

"Chi ГЁ il tesoro?" Rispose Maya con un sorriso.

"Chiunque risponda, immagino".

"Ci sono solo io".

Lui apparve sulla soglia, sorridendo. "Allora, ciao, tesoro. Dov'ГЁ tua sorella?"

"Lezione d'arte al Centro ricreativo".

“Bene. Dimenticavo che lo stava seguendo. Ma sono contento che lo faccia. Ha bisogno di un passaggio?"

"No, ГЁ andata in bici".

Suo padre battГ© le palpebre. "In febbraio?"

“Ha detto che le piace il freddo. La tiene vigile".

“Uhm. E poi sarei strano io".

Maya scivolò giù dal letto e lo seguì in cucina, dove frugò nel frigo e prese una birra leggera. Dopo essersi levato il cappello, si passò una mano tra i capelli e sospirò prima di prenderne un sorso.

"Sei frustrato", osservГІ Maya.

"No, sto bene. Felice come un bambino". Tentò di ingannarla con un sorriso, ma lei non ci cascò. "In realtà dovresti dire, felice come un bambino in alto mare". Sai che quel modo di dire risale al 1841? Alcuni addirittura lo attribuiscono a Robert E. Lee…"

Si interruppe mentre lei incrociò le braccia e sollevò un sopracciglio. “Sei frustrato. O arrabbiato per qualcosa. Forse entrambe le cose. Non ti sei tolto le scarpe quando sei entrato, sei andato dritto a bere una birra, ti sei toccato i capelli e hai sospirato…"

"Non ГЁ vero", disse lui.

"E ora stai cercando di sviare", concluse lei. "Scommetto che eri sul punto di dirmi di ordinare le pizze stasera". La pizza era la sua soluzione nelle serate in cui aveva troppe cose per la testa.

"Bene, hai vinto". Aggiunse in un mormorio: "a volte vorrei aver avuto figlie piГ№ stupide. O magari con un senso dell'osservazione meno sviluppato".

"Vuoi dirmi come sono andate le tue commissioni?" Chiese Maya.

Ci pensГІ un momento, poi disse: "Mettiti una giacca".

Prese il cappotto e lo seguì sul loro piccolo balcone, grande abbastanza per contenere due sedie e un piccolo tavolino di vetro. Ma non si sedettero; suo padre chiuse la porta a vetri alle loro spalle e si appoggiò alla ringhiera.

Maya si abbottonГІ la giacca contro l'aria fredda dell'inverno e incrociГІ le braccia. "Sputa il rospo".

"Ho cercato una persona", le disse, mantenendo la voce abbastanza bassa da permetterle di sentire. “Un agente o qualcuno che lo era circa cinque anni fa circa. Si chiama Connor".

"E' il nome o il cognome?" Chiese Maya.

Lui scrollГІ le spalle. "Non ne ho idea". Potrebbe essere morto. E se non lo ГЁ, l'hanno nascosto molto bene.

Sara si accigliГІ, chiedendosi perchГ© suo padre avrebbe dovuto cercare un agente presumibilmente morto. "Che cosa ti serve da lui?"

Suo padre bevve faticosamente un sorso dalla bottiglia poi mormorò qualcosa sottovoce. Maya non riuscì a capirlo, ma le sembrò quasi che avesse detto "scartoffie".

“Che cosa?”

"Niente", le disse. “Non posso dirtelo. È una… questione di lavoro".

"Ho capito". Ma dal suo comportamento e dal fatto che al momento non era ingaggiato dalla CIA per condurre una caccia su vasta scala per trovare questo ragazzo, ipotizzò che non si trattasse di una questione di lavoro. "E perché me lo dici qui al freddo, sul balcone…?"

Non rispose nulla, ma la guardГІ inespressivo. Le ci volle un momento per interpretarlo, ma quando lo fece le si rivoltГІ lo stomaco.

"Oh mio Dio, non pensi davvero …?" Si trattenne dal dirlo ad alta voce. Pensava che il loro appartamento potesse essere in qualche modo controllato.

"Non ne sono sicuro. Alan ha fatto un po' di ricerche, ma tendono a diventare sempre piГ№ creativi".

Maya scosse la testa disgustata al pensiero che tutto ciГІ che diceva, forse anche tutto ciГІ che faceva, per non parlare della sorella, venisse registrato in qualche database della CIA. Una volta le avevano impiantato un chip di tracciamento proprio sotto la pelle e il pensiero che qualcuno potesse sempre conoscere la sua posizione era abbastanza inquietante.

Ma essere effettivamente osservata… le riportò alla mente i tre ragazzi adolescenti di West Point, che si erano nascosti in uno spogliatoio, aspettando che uscisse dalla doccia in modo da poterla aggredire. Chi sapeva da quanto tempo erano lì, cosa avevano visto…?

AllontanГІ con forza quel pensiero dalla testa. Suo padre conosceva il minimo indispensabile di ciГІ che era accaduto e non aveva alcuna intenzione di rivelargli i dettagli in quel momento. Era un problema suo, come non la riguardava il problema di suo padre.

"Cosa hai intenzione di fare ora?" DomandГІ lei.

Zero agitò una mano con disprezzo. “C'è un medico, forse, che lo conosce. O lo conosceva. Non lo so ancora. Sto aspettando alcune informazioni da Reidigger". Le sorrise, voltandosi indietro. "Dai, torniamo dentro".

"Aspetta. Se non dovresti parlarne, perché mi stai dicendo tutto questo?”

La fissГІ per un momento, abbastanza a lungo da permetterle di pensare che neanche lui fosse sicuro della risposta.

"PerchГ©", disse alla fine, "quando sono frustrato, parlare mi aiuta".

La strinse alle spalle e tornarono dentro, giusto in tempo per vedere Sara che si stava chiudendo la porta alle spalle. Si tolse il berretto di lana, il naso e le guance arrossati e screpolati dall'aria invernale.

Sara diede un'occhiata al loro papà e annuì. "Quindi pizza per cena, allora?"

Lui alzò entrambe le mani. "Sono davvero così prevedibile?"

Maya sorrise, ma poi notГІ che c'era qualcosa in Sara che non andava. Si muoveva con rigiditГ  e sembrava che non fosse solo per il freddo. Anche dopo aver tolto il parka, sua sorella tenne i gomiti ben chiusi, quasi sulla difensiva.

“Tutto bene?” Chiese Maya.

Sara tirò su con il naso. "Sì. Solo, sai, le mie solite cazzate".

"Attenzione al linguaggio", la richiamò suo padre dalla cucina. E poi, "Sì, vorrei due grandi piz…"

"Sto bene", la rassicurГІ Sara mentre si dirigeva verso la loro camera da letto condivisa.

Maya non ci credeva, ma sapeva che non era il momento di indagare oltre. Tutti avevano i loro problemi e tutti li trattavano a modo loro. Per una famiglia che si era promessa reciprocamente l'onestГ , sembravano mantenere molti segreti. Ma non era una questione di disonestГ ; era una questione di indipendenza, ciascuno era responsabile per sГ© stesso.

Doveva ammettere comunque, che talvolta si sentiva sola.

Ma forse non avrebbe dovuto. Stava pensando a questo Connor scomparso. Doveva esserci un modo per trovare il ragazzo… e una persona intelligente come lei avrebbe dovuto arrivarci. Forse avrebbe dovuto riuscirci per mostrare a suo padre, non a parole, che non doveva essere sempre solo davanti ai suoi problemi.

Se solo ci fosse riuscita in qualche modo.




CAPITOLO SETTE


Il Presidente Jonathan Rutledge si stava rilassando su un divano a strisce nello Studio Ovale. Si tolse i mocassini e appoggiò i talloni sul tavolino lucido che si trovava davanti a lui. Era abbastanza certo che il divano, uno dei due disposti in posizione perpendicolare alla scrivania, non fosse in quel posto il giorno prima, ma non poteva esserne sicuro. Di solito quella stanza era piena di attività, consiglieri, capi e amministratori che correvano qua e là, e i mobili erano per lo più uno sfondo, non arredamento. A ciò si aggiungeva sua moglie, Deidre, che si era incaricata di "aiutare" il team di progettazione della Casa Bianca a ridipingere ogni stanza una volta alla settimana, o almeno così gli sembrava.

Era un bel divano. SperГІ di poter stare ancora un poco in ufficio.

Lo scorso novembre Rutledge aveva fatto quasi la fine dei mobili. Solo pochi mesi prima aveva preso seriamente in considerazione di dimettersi dall'ufficio di presidenza, ritenendosi inadatto al compito. Era stato promosso da Presidente della Camera alla carica piГ№ alta grazie all'immenso scandalo dei suoi predecessori che coinvolgeva la Russia, e gli ci era voluto del tempo per abituarsi alla posizione, ai poteri che gli erano stati concessi e alla responsabilitГ  richiesta.

Ma ormai era acqua passata. Aveva preso la decisione di rimanere in carica, e poi aveva nominato vicepresidente la senatrice della California Joanna Barkley. Fino a quel momento stava facendo un lavoro stellare. Il loro indice di gradimento era alle stelle; Rutledge nei sondaggi stava conquistando persino i conservatori. C'era stata solo una piccola battuta d'arresto per un paio di giorni a metГ  dicembre quando aveva commesso il grave errore di tingersi i capelli di un color nocciola. L'aveva fatto solo perchГ© i capelli grigi lo infastidivano, non per vanitГ  o per sembrare giovane, ma per preservare la propria autostima. Eppure per ben due giorni e mezzo gli esperti dei media non poterono fare a meno di lamentarsi di ciГІ che Rutledge stava cercando di dimostrare. Apparentemente tingersi i capelli non era previsto nel grande libro non scritto delle regole presidenziali. Ci si aspettava, com'era successo ai suoi predecessori, che invecchiasse con dignitГ , oppure anche in maniera terribile.

Questo era uno di quei momenti molto rari in cui era solo, e si stava proprio godendo quell’attimo, la giacca appesa al muro e i calzini neri sul tavolo. Ovviamente non era mai davvero solo; c'erano telecamere dappertutto e almeno due membri dei servizi segreti erano appostati appena fuori dalle porte dell'ufficio. Ma era abbastanza, e si sarebbe regalato quei piccoli momenti appena possibile, perché erano rari e lontani tra loro, momenti che a malapena riempivano gli spazi esigui come le fessure tra i mattoni.

I rapporti degli Stati Uniti con la Russia erano in crisi da un paio d'anni ormai, anche prima che Rutledge diventasse Presidente della Camera. E ora anche la Cina era passata dalla parte del nemico. La guerra commerciale era finita e il governo cinese se la stava giocando bene, ma solo perchГ© Rutledge stesso aveva minacciato di far trapelare l'intero calvario dell'arma ad ultrasuoni e le identitГ  dei commandos che la gestivano. Al momento c'era una tregua, ma fragile come il vetro e che poteva frantumarsi non appena i cinesi ne avessero intravisto l'opportunitГ .

Eppure qualcosa doveva dare. Rutledge lo sapeva e aveva anche un'idea, ma fu la Barkley a fargli credere che si potesse fare. Aveva un modo tutto suo di affrontare problemi enormi, apparentemente impossibili e trasformarli in soluzioni attraverso percorsi razionali. Sarebbe stata una grande matematica, pensГІ; per lei ogni problema si risolveva nei componenti piГ№ semplici.

L'obiettivo, in poche parole, era la pace in Medio Oriente. E non solo tra gli Stati Uniti e ogni paese membro, ma anche tra tutti gli altri paesi. Certo, era inverosimile, ma l'importante sarebbe stato muoversi nella giusta direzione.

E dopo due mesi di incontri, di pianificazione, di speranza e di ascolto degli oppositori, di strategie e corteggiamenti, di scrittura di discorsi e di notti agitate, stava accadendo.

"Domani, l'Ayatollah dell'Iran verrГ  a Washington".

Lo disse ad alta voce, solo a se stesso nello Studio Ovale vuoto, come se volesse sfidare qualcuno ad entrare per contraddirlo. Ma era vero; il capo supremo dell'Iran, un uomo che una volta aveva promesso pubblicamente che non avrebbe mai capitolato agli Stati Uniti, un uomo che aveva demonizzato l'intero paese, sarebbe arrivato il giorno seguente, per far visita prima di tutto all'edificio delle Nazioni Unite a New York, dove in quel momento si stava rivedendo in fretta e furia un trattato da sottoporgli. Poi l'Ayatollah si sarebbe recato a Washington, DC, per incontrare Rutledge per firmare il trattato reciprocamente vantaggioso che avrebbe garantito non solo la pace tra i loro stati, ma anche aiuti concreti al popolo dell'Ayatollah e (possibilmente) avrebbe contribuito a mitigare la xenofobia islamica.

Rutledge era nervoso, ma cautamente ottimista. Se l'Ayatollah avesse accettato i termini del trattato, non solo avrebbe fatto la storia ma sarebbe anche diventato il motore propulsore per altre nazioni islamiche che ne avrebbero seguito l'esempio.

O la maggior parte di loro, pensГІ amaramente. La Barkley non aveva risparmiato alcun dettaglio durante il suo recente viaggio in Arabia Saudita per il funerale del defunto re e le conseguenti richieste del principe, o meglio, del nuovo sovrano. Le truppe statunitensi stavano giГ  lasciando i posti di comando e si stavano ritirando nelle nazioni vicine. Le ambasciate erano state svuotate. Rutledge laggiГ№ aveva dei contatti che cercavano di tenerlo il piГ№ possibile lontano dall'opinione pubblica americana, ma era un compito impossibile. Le voci arrivavano vorticose dall'Arabia Saudita attraverso altri canali.

Tutto questo li aveva dunque spinti ad affrontare il fragile equilibrio tra Iran, Arabia Saudita e Stati Uniti. Presto o tardi ci sarebbero stati progetti e conferenze stampa.

Finalmente. Ma si doveva aspettare la visita del leader iraniano. Aveva trascorso troppo tempo a fare in modo che questa visita potesse avere luogo.

Un forte bussare alla porta non solo lo scosse dai suoi pensieri, ma lo spaventГІ tanto da fargli togliere i piedi dal tavolino per mettersi seduto diritto, come se sua madre l'avesse sorpreso con i piedi sul mobilio buono.

"Signor Presidente".

Si schiarì la voce. "Vieni, Tabby".

La porta sinistra delle due porte color crema si aprì quanto bastava per consentire a Tabitha Halpern di infilarvi la testa di capelli ramati lunghi fino a terra. "Mi dispiace signore, ma è necessario immediatamente…"

"Fammi indovinare". Rutledge si massaggiГІ la fronte. "La stanza delle decisioni".

Il capo dello staff della Casa Bianca si accigliГІ. "Ha chiamato qualcuno?"

"No, Tabby. Era solo un'ipotesi plausibile". Prese le scarpe. "Una settimana. Mi piacerebbe passare almeno una settimana senza affrontare una crisi. Non sarebbe giГ  qualcosa?


*

La sala conferenze John F. Kennedy si trovava nel seminterrato dell'ala ovest, uno spazio di quindici metri quadrati comunemente denominato la stanza delle decisioni, e giustamente, poichГ© l'unica ragione per cui il Presidente Rutledge doveva metterci piede era per prendere delle decisioni su questioni urgenti.

E c'erano sempre decisioni da prendere a quanto pare.

Due agenti dei servizi segreti aprivano la strada, con un'altra coppia dietro, mentre Tabby Halpern cercava di velocizzare i movimenti per tenere il passo leggendo qualcosa su un foglio che le era stato consegnato solo pochi istanti prima. Si parlava di qualcosa sulla Corea del Sud e di una nave rubata; Rutledge era ancora abbastanza perso nei suoi pensieri.

Ti prego, fa che non sia una catastrofe. Non ora, alla vigilia di una visita storica.

GiГ  attorno al tavolo lucido da conferenza c'erano i soliti sospetti e facce familiari, o almeno la maggior parte. Il segretario alla Difesa Colin Kressley era in piedi davanti alla sua sedia, accanto al direttore dell'intelligence nazionale, David Barren. Di fronte a loro c'era il direttore della CIA Edward Shaw, un uomo che si muoveva come se la sua spina dorsale fosse fatta di acciaio e la bocca esistesse solo per fare una smorfia. I due uomini ai lati di Shaw erano sconosciuti.

Il vicepresidente Barkley non era presente, osservГІ, sebbene il protocollo stabilisse che la sua presenza fosse facoltativa in riunioni come questa, a seconda della natura della situazione e di qualunque altra cosa avesse tra le mani in quel momento.

"Signori", salutГІ Rutledge mentre lui e Tabby attraversavano la stanza. "Prego, sedetevi. Non credo di dover ricordare che giorno sia domani o quanto sia importante questa visita. Qualcuno, per favore, mi dica che si tratta di un briefing sulla sicurezza o di una festa a sorpresa".

Nessuno riuscì a tirare fuori un sorriso; semmai, il cipiglio del direttore Shaw si fece più intenso. Rutledge si ricordò di reprimere il suo comportamento generalmente sprezzante quando si trovava in quella stanza progettata per affrontare problemi catastrofici.

"Signor Presidente", disse burbero in tono baritonale il generale Kressley. "Due giorni fa un satellite sull'Oceano Pacifico del Nord ha rilevato un picco di energia molto breve e molto potente a poco piГ№ di trecento miglia a sud-est del Giappone".

Il Presidente corrugГІ la fronte. Aveva ascoltato solo per metГ  Tabby mentre si dirigevano verso la stanza delle decisioni, ma lei aveva parlato di una nave scomparsa.

"Il picco di energia si è poi trasformato in un potente aumento di fulmini o potenzialmente in un'esplosione proveniente da una tasca geotermica", continuò Kressley. "Ma ora abbiamo motivo di credere che si tratti decisamente di qualcos'altro…"

"Mi scusi, generale", interruppe Rutledge con una mano alzata. “Il briefing diceva che nella Corea del Sud era scomparsa un'imbarcazione. Se si scopre qualcosa sul picco di energia, possiamo arrivarci più velocemente?”

Kressley si irrigidì un momento, ma fece un cenno al direttore Shaw.

“Signore". Shaw incrociò le mani sul tavolo, una strana abitudine che Rutledge notava sempre quando l'ex direttore della CIA parlava. “Meno di trenta minuti fa, il governo sudcoreano ha condiviso un dossier interno con la Central Intelligence Agency. Se quello che stanno dicendo è vero, hanno sviluppato un'arma molto potente e l'hanno montata su una piccola nave introvabile. Durante il primo test dell'arma nell'Oceano Pacifico, l'impennata di energia che il Segretario alla Difesa, ha appena descritto, la nave è stata attaccata. Nessuno dell'equipaggio è sopravvissuto. La nave e l'arma sono state rubate".

Un sibilo sfuggì dalla gola di Rutledge, perfettamente in tema con la sensazione esplosiva che stava improvvisamente crescendo in lui. Troppe informazioni di assimilare in poco tempo.

"Quest’arma". La voce di Rutledge era bassa ma udibile in quella stanza silenziosa. "Quest'arma è stata creata in segreto?"

"Sissignore".

"Ed ГЁ stata testata in segreto".

"Esatto, signore".

"E i sudcoreani hanno aspettato due giorni interi per dirci che è stata rubata". Rutledge aveva solo bisogno di confermare che tutto ciò che aveva sentito dire dai suoi così detti alleati sulla penisola coreana fosse corretto.

"Esattamente, signor Presidente". Shaw fece una pausa per un momento prima di aggiungere: “Sembra che inizialmente fossero ottimisti sulle possibilità di recuperarla. Ma ora stanno chiedendo il nostro aiuto".

Rutledge digrignГІ i denti. Era peggio di quanto potesse immaginare. Non solo qualcuno aveva messo le mani su quest'arma, ma non poteva certo rompere alleanze proprio ora che stava cercando di crearne una.

"Di che arma si tratta?" Chiese.

"Riguardo a questo", disse Shaw, "lascio che glielo dica il Dottor Michael Rodrigo". Fece un gesto verso l'uomo alla sua sinistra, probabilmente il piГ№ giovane nella stanza, non piГ№ di quarant'anni. "Il nostro massimo esperto di tecnologia delle armi avanzate e responsabile per la ricerca e lo sviluppo della Marina degli Stati Uniti".

"Grazie, signor Presidente", disse in fretta il dottor Rodrigo. "È un onore per me essere qui a parlare con lei di questo argomento…"

"Di che arma si tratta?" Chiese di nuovo Rutledge.

Il dottore si aggiustò la cravatta. "Bene, signore, se il dossier della Corea del Sud è legittimo, allora hanno creato un’arma al plasma".

Rutledge sbatté le palpebre. Aveva già sentito parlare di armi al plasma, e sapeva che la Marina ne aveva un modello funzionante da qualche parte, ma sembrava ancora una cosa piuttosto fantascientifica. “Che cosa?”

"Un’arma al plasma", ripeté il dottore. “Ad essere sinceri, fino ad ora questo tipo di arma non era mai stato realizzato nella realtà. In effetti, è difficile poter credere pienamente alla sua esistenza fino a quando non verrà trovata la nave scomparsa…"

"O fino a quando l'arma non viene utilizzata", aggiunse secco Kressley.

"Beh… sì", concordò il dottore. "Basti pensare che l’arma è un'arma a proiettili con la capacità di distruggere qualsiasi bersaglio a poche centinaia di miglia di distanza".




Конец ознакомительного фрагмента.


Текст предоставлен ООО «ЛитРес».

Прочитайте эту книгу целиком, купив полную легальную версию (https://www.litres.ru/pages/biblio_book/?art=63590581) на ЛитРес.

Безопасно оплатить книгу можно банковской картой Visa, MasterCard, Maestro, со счета мобильного телефона, с платежного терминала, в салоне МТС или Связной, через PayPal, WebMoney, Яндекс.Деньги, QIWI Кошелек, бонусными картами или другим удобным Вам способом.



Если текст книги отсутствует, перейдите по ссылке

Возможные причины отсутствия книги:
1. Книга снята с продаж по просьбе правообладателя
2. Книга ещё не поступила в продажу и пока недоступна для чтения

Навигация